Il cinema è ancora passione o è da tempo soltanto un’industria culturale? Dalle Madonie arriva una risposta che è anche una dichiarazioni d’amore per il territorio.Le stelle non hanno padroni è il titolo dell’ultimo progetto cinematografico del collettivo MiTerra Videolab, un gruppo di appassionati della settima arte nato a Petralia Sottana. E che sbarca nelle sale dal primo novembre, con una proiezione in anteprima presso il cine teatro Grifeo.
Il film ha visto l’impegno entusiasta di tutta la comunità madonita, come racconta il regista Salvatore Bongiorno, e una lunga lavorazione. «Dalla raccolta delle testimonianza storiche alla finalizzazione del montaggio video – dice il regista – il film ha comportato circa tre anni di lavoro. Nessuno di noi è un professionista e, per organizzare le riprese delle scene e portare a termine la produzione complessiva, abbiamo utilizzato il nostro tempo libero. Il lavoro è totalmente autofinanziato».
Le stelle non hanno padroni è ambientato tra il 1947 e il 1948, e narra di due vite che si incrociano: quella di un contadino dedito al suo lavoro e alla militanza politica e quella di uno studente che crede in una società più giusta e solidale. Al centro del racconto vi sono dunque da un lato il ruolo chiave dell’istruzione e la rinascita del movimento per l’affermazione dei diritti contadini – lotte fondamentali e troppo spesso dimenticate; dall’altro si incentra sulle connessioni fra i poteri locali e la criminalità mafiosa che impose con la forza un proprio sistema di gestione del lavoro e del mercato. I due protagonisti, che con il loro esempio danno impulso ai diseredati nella rivolta contro il sistema feudale, sono inoltre diretti testimoni dell’impegno politico e del martirio di tanti sindacalisti e figure chiave per la nostra storia recente: Epifanio Li Puma, Girolamo Li Causi e Pio La Torre.
Un film dunque che affronta temi importanti, e che intende allo stesso tempo raccontare un territorio come le Madonie, ricco di splendidi scenari naturali ma povero di opportunità. «L’intento del Miterra, da sempre, è stato la valorizzazione delle bellezze della nostra terra – afferma ancora Bongiorno – Dopo la produzione di un ciclo documentaristico riguardante le più importanti tradizioni sacre del territorio e il mediometraggio dal titolo U juornu avanti, ambientato a inizio ‘900 e incentrato sul tema dell’emigrazione, anche questo lavoro vuole porre l’attenzione sulla nostra terra, tanto ricca di bellezze quanto martoriata dagli effetti di un continuo spopolamento e abbandono. Nonostante le difficoltà di operare in questo contesto, crediamo che l’impegno di gruppi come il nostro, se coordinati e alimentati da una passione sincera, possa aiutare l’intero territorio a perseguire il riscatto sociale che tanto merita e di cui tanto ha bisogno. La nostra è una passione che nasce da un grande amore verso questa meravigliosa forma d’arte. Tra i nostri principali intenti c’è quello di trasmettere ai più giovani questa passione».
L’intera produzione è, si potrebbe dire, madonita al cento per cento: madonita è il tema, dunque; madoniti sono gli splendidi scenari montani e storici, madonite sono le maestranze che, a proprie spese, hanno contributo alla realizzazione del film attraverso anche un lavoro di ricerca storica e antropologica. Ma non solo. «La maggior parte degli attori -spiega il regista – è composta da amatori che hanno prestato il loro tempo e la loro passione, fornendo le fondamenta solide sulle quali abbiamo potuto costruire l’intero prodotto. I pochi attori professionisti coinvolti, tra i quali vorrei ricordare Salvo Piparo, Ferdinando Gattuccio e Vincenzo Albanese, si sono immediatamente resi disponibili poiché legati al gruppo da rapporti di stima e amicizia, avendo conosciuto precedentemente il Miterra».
E c’è curiosità per la prova di attore del cuntista palermitano Salvo Piparo. Per lui il ruolo di un proprietario terriero molto crudele, all’antica. «È stata una produzione ben organizzata – dice Piparo -: si è mosso tutto un paese, tutte le risorse di Petralia sono state coinvolte. Il collettivo poi è cresciuto rispetto alle prime esperienze. Il mio bocca in lupo gliel’ho dato con la scena che interpreto, in cui divento l’esempio anche della crudeltà di quel mondo contadino arcaico. Non mi capita spesso di avere il ruolo del cattivo. Come mi sono trovato? Ho sudato parecchio perché è una scena molto intensa».
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