«Una piazza per signore», dice Chiara. Ha trentatré anni, è una ricercatrice universitaria precaria e guardava un po’ interdetta il corteo che attraversava la centralissima via Etnea di Catania, in occasione della manifestazione al femminile che si è svolta domenica mattina in contemporanea in molte città d’Italia. «Se non ora, quando?» è il motto comune, ma secondo Chiara forse è un po’ tardi: «Perché non prima?». «Da due anni», racconta, «tento di mantenere un certo distacco nei confronti della mia professione e dei miei sogni: so che non devo sperare di restare all’Università, ad esempio. Mi hanno assegnato un’altra supplenza annuale, non ce la faccio più. Per fortuna, lavoro altrove, faccio l’architetto per uno studio privato. Pare che io sia una libera professionista. Ma dov’è che sono libera?».
A pochi passi da Chiara, c’è Maria Giovanna, cinquantotto anni, iscritta alla CGIL. Distribuisce volantini e indossa un cartello. La scritta col pennarello rosso recita: «Presidente, io non sono una donna a sua disposizione». Cita Rosi Bindi, lei, «perché la stimo come donna e come politico». A proposito di donne, cosa pensa di quelle – giovanissime – di cui si parla nei dossier a carico di Silvio Berlusconi? «In fondo, si tratta sempre e comunque di necessità», risponde. «Ci sono persone che hanno bisogno di arrivare a fine mese potendosi permettere di pagare l’affitto, e persone che hanno bisogno di camminare per strada con una borsa Chanel. Io ho bisogno di un Presidente del Consiglio che non si chiami Silvio Berlusconi».
E ci sono persone che hanno bisogno di una casa, e basta. «Oltre al contributo per l’autonoma sistemazione, non ho ricevuto niente, dal Governo»: parla Paola, sessantasei anni, pensionata ex ragioniera, una delle sfollate del terremoto di L’Aquila, nel 2009. «Silvio Berlusconi deve dimettersi», sostiene. «Non mi rappresenta e non voglio che continui a rappresentarmi. Lo scandalo di questi giorni non è una novità: che per andare avanti ci sia bisogno di un amico potente è una storia vecchia. L’aspetto nuovo è che il limite di quello che la dignità concede si è spostato un po’ più in là, ed è disgustoso». Paola cammina a braccetto con la figlia, che la ospita a Catania. Si chiama Lorella, ha quarantatré anni e lavora in banca: «Fa ridere se dico che mi occupo di pari opportunità?». Ridere no, sorridere forse: «Mi sono stancata degli stereotipi, del fatto che, in quanto donna, devo combattere più degli altri per raggiungere i miei obiettivi. In tante, come me, fanno i salti mortali ogni giorno per fare al meglio il loro mestiere, e vengono ignorate». Poi, però, dopo lo scandalo «sembra che esistano solo quelle che si vendono per fare carriera. Non è Berlusconi, il problema, è la società tutta».
D’accordo con Lorella anche Ornella, classe 1992, da qualche mese diciottenne. «Non me la sento di criticare le ragazze che fanno le escort per soldi», comincia. «Se non hai alternative, che fai? In fondo, ti adegui alla morale comune, e se la morale non c’è tutto è permesso».
Studia al liceo psicopedagogico, «ma non so ancora quello che voglio fare nella vita, sicuramente non vedo il mio futuro a Catania: se nel resto d’Italia è difficile costruire qualcosa, figurarsi in Sicilia». Quindi, dopo il diploma, si trasferirà: «Non voglio vendermi, in nessuna maniera. Voglio fare un lavoro pulito, anche intellettualmente».
Ornella andrà via, Daphne invece resterà. Appena maggiorenne pure lei, stessa scuola, aspirazioni simili ma condizioni economiche diverse: «I miei non possono permettersi di mantenermi fuori sede, quindi rimango qua. Voglio fare la psicologa criminale, e non è ancora chiaro se l’indirizzo universitario al quale mi dovrei iscrivere lo trasferiranno a Catania, oppure a Enna, oppure a Messina». Le ragioni della sua protesta sono semplici: «Le cose devono cambiare, le istituzioni devono capire che siamo stanchi. Qualcuno deve pur cominciare a far sentire la sua voce, no? Io provo a far sentire la mia».
In mezzo al corteo, molti uomini, alcuni illustri. Enzo Bianco, ad esempio, ex sindaco del capoluogo etneo ed esponente di spicco del PD. Per lui, «protestare è un diritto per le donne, ma un dovere per gli uomini». Si stupisce, Bianco, della presenza di così tante persone: «Mi aspettavo meno gente, invece rivedo per strada persone che non incontravo da un po’: che la città si stia svegliando da un lungo sonno?». Girano i fogli della petizione per chiedere le dimissioni del presidente Berlusconi, l’obiettivo sono dieci milioni di firme: «Bersani ha sparato in alto», ammette Bianco. «Io, probabilmente, avrei detto tre milioni, aspettandomi di festeggiare a quota cinque milioni».
Altro volto noto è Andrea Vecchio, l’imprenditore celebre per la sua lotta contro il racket delle estorsioni. «Manifesto anch’io perché ho a cuore la dignità delle donne, e anche quella degli uomini, che un comportamento come quello di chi è – purtroppo – il nostro Presidente del Consiglio svilisce», si accalora. «Io mi sento offeso dalle azioni di Berlusconi», commenta. E aggiunge, sorridendo: «Certi uomini sono così legati alla loro presunta mascolinità che la loro massima preoccupazione è sollevare, a settant’anni, una certa parte anatomica. Io, fossi in loro, mi premurerei di garantirmi una costante, passatemi la terminologia spicciola, “erezione cerebrale”».
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