Se non fosse stato per lui, le richieste degli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara, forse non avrebbero mai potuto raggiungere l’ambita scrivania di Raffaele De Lipsis. Ritiratosi dal ruolo di consigliere della Corte dei conti, e con un passato nel servizio di controllo nell’autorità delle comunicazioni, adesso il 77enne catanese Luigi Caruso torna a fare parla di sé. Grazie all’inchiesta della procura di Roma su un presunto giro di sentenze che sarebbero state comprate tra il Consiglio di Stato e il Consiglio della giustizia amministrativa di Sicilia. Una rete, quella ricostruita nell’ordinanza firmata dalla giudice Daniela Caramico D’Auria, fatta di presunte bustarelle e rapporti grigi. Il ruolo di Caruso, indagato per corruzione in atti giudiziari e finito agli arresti domiciliari, sarebbe stato decisivo. Una pedina bollata con una sola parola: «L’intermediario». Perché, secondo l’accusa, grazie alla sua mediazione si sarebbe riuscito a stabilire «il rapporto tra i corruttori e il corrotto».
A svelare i retroscena di questa storia sono i presunti pupari del cosiddetto sistema Siracusa, gli avvocati Amara e Calafiore. Secondo i magistrati, i due per anni sono stati impegnati a intrecciare rapporti di alto livello per creare una sorta di cerchio magico e così garantire, e garantirsi, sentenze amministrative favorevoli. Tre mesi dopo essere finiti in carcere, a febbraio dello scorso anno, i due professionisti hanno deciso di vuotare il sacco facendo nomi e cognomi. «Il rapporto con Caruso – racconta Amara in un verbale – nasce non per il ruolo che aveva, ma per l’amicizia con De Lipsis». Anche perché alla fine del 2014 quest’ultimo non era solo il presidente del Cga Sicilia ma anche l’assegnatario di due fascicoli che stavano particolarmente a cuore al duo Amara-Calafiore, quelli delle società Open Land e A.M group. «L’elemento determinante fu l’intervento di Caruso – continua l’avvocato pentito – perché solo dopo il suo intervento ci fu la nomina di Pace». Ovvero il consulente che avrebbe dovuto accertare il danno, da parte del Comune di Siracusa, nei confronti della società della compagna di Calafiore: la Open Land. Una nomina, secondo l’accusa, non proprio imparziale in quanto suggerita a Caruso, e poi da questo veicolata a De Lipsis, attraverso gli avvocati aretusei.
Ma da dove nasce il rapporto con Caruso? «L’amicizia con lui si sviluppa nel 2013, dopo che io mi trasferisco a Roma nel 2012 – continua Amara – Ebbe dei contatti con me per ragioni professionali». Stando al racconto dell’avvocato diventato pentito, l’ex giudice della Corte dei conti sarebbe arrivato allo studio romano per togliersi di dosso una macchia giudiziaria legata proprio a un caso di corruzione e a una condanna in primo grado a tre anni. «Si risolse con una prescrizione e poi si rivolse a me per vedere se c’erano gli spazi per ottenere una revisione della sentenza. Lui ha trascorso anche le vacanze in Sicilia, spesso andava ospite dello stabilimento (una struttura balneare riconducibile a Calafiore, ndr) e nel contesto di questi rapporti veniamo a conoscenza della sua amicizia con il giudice De Lipsis».
Nella ricostruzione dei magistrati romani l’ex presidente del Cga, per i presunti favori alle società Open Land e A.M. group, avrebbe ricevuto 50mila euro in tre dazioni separate. «Mi disse che di questa cosa se ne sarebbe occupato lui – rincara la dose Calafiore in un secondo verbale – Caruso mi chiese dei soldi e io glieli diedi». Migliaia di euro sarebbero stati sborsati anche per rimettere in corsa all’assemblea regionale siciliana Pippo Gennuso, l’imprenditore e sergente autonomista di Rosolini, in provincia di Siracusa. Nelle carte dell’inchiesta emerge anche un aneddoto legato alle modalità con cui i protagonisti di questa storia comunicavano tra loro. «Faceva uso dell’applicazione Wickr me – scrive il giudice – non intercettabile e che consente l’autodistruzione dei messaggi». La guardia di finanza però aveva scoperto i nickname di tutti e Luigi Caruso era minchia69.
A raccontare come si sarebbe mosso De Lipisis c’è anche un altro catanese. Agli atti dell’inchiesta finiscono pure le dichiarazioni di Peppino Mineo, professore di diritto privato all’università etnea e giudice laico del Cga nominato nel 2010 in quota Raffaele Lombardo. Le sue trascrizioni sono risalenti al 2017, pochi mesi dopo anche per Mineo scattano le manette con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. Il filone, aperto dalla procura di Messina, porta sempre ad Amara, Calafiore e alle due società. Il professore, non indagato in questo filone, era il componente del consiglio che si occupò delle decisioni poi messe nera su bianco da De Lipsis. «Le sentenze furono estese da lui – racconta – ma le motivazioni non sono state condivise preliminarmente con il collegio».
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