Le riforme che servono per il bene dell’Italia

Il bene del Paese, quello cui i nostri rappresentanti dovrebbero pensare, non tollera più il gioco delle ripicche o quello ancor più devastante delle ambizioni personali. Ci fa specie, ad esempio, leggere che personaggi mediocri, come la signora Rosy Bindi, o pretenziosi, come il giovane Matteo Renzi o, ancora, il ministro Fabrizio Barca, senza tenere conto del contesto politico, si concedano il lusso di pronunciare veti o di buttare benzina sul fuoco.

Questi personaggi non si accorgono che il tempo delle polemichette è scaduto e che il Paese, quello reale e non quello delle minoranze irresponsabili che gridano nelle piazze, ne ha abbastanza di questo degrado.

Dopo l’elezione del Capo dello Stato, è necessario un Governo che si impegni su due versanti, quello simbolico, adottando provvedimenti che costituiscano veri segnali di cambiamento, e quello reale, mettendo mano a riforme praticabili che siano veramente utili al Paese.

Sul piano simbolico, la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione, con la riduzione di almeno la metà dei rappresentanti delle due Camere, potrebbe essere un segnale significativo come lo potrebbe essere una rivisitazione dell’ammontare delle indennità parlamentari, attraverso la modifica del criterio di aggancio, fermo restando, tuttavia, il quantum necessario a garantire l’indipendenza e il ruolo dello stesso membro del Parlamento.

Stesso discorso andrebbe fatto per l’ammontare del finanziamento ai partiti, tenendo tuttavia presente, contro la demagogia piazzaiola dei cattivi profeti, che la democrazia ha un costo che tutti i cittadini devono pagare.

Nel contesto della riforma costituzionale, sarebbe, inoltre, utile modificare il ruolo del Senato, facendone Camera delle Autonomie, i cui membri siano eletti dai e fra i componenti dei Consigli regionali. Contro il bicameralismo perfetto, il Senato delle Autonomie non dovrebbe avere poteri legislativi, ma solo di controllo.

A tali riforme dovrebbero aggiungersi quelle della soppressione delle Province e dell’accorpamento delle Regioni oltre alla rivisitazione delle competenze delle stesse per consentirne una migliore possibilità di coordinamento in funzione del superiore “interesse nazionale”.

A questi provvedimenti che, ripeto, hanno soprattutto valore simbolico, se ne dovrebbero aggiungere altri di sostanza. Ne suggeriamo alcuni, praticabili immediatamente. Il primo di questi é l’abolizione dei cosiddetti sussidi inutili, già individuati dalla commissione tecnica Giavazzi, che sembra ammontino a circa 15 miliardi di euro; l’altro, concordandolo con gli alleati ai quali si dovrà fare presente la congiuntura particolare che attraversa il Paese, è quello della riduzione delle spese militari e degli impegni assunti a livello internazionale.

Un altro provvedimento da assumere, anche se a monte ha bisogno di un’indagine preliminare, è quello di eliminare quelli che chiameremo doppioni. Ci sono funzioni pubbliche eguali che vengono esercitate da più strutture con il risultato di un non indifferente appesantimento dei costi della pubblica amministrazione.

Esemplifico. Siamo, sicuramente, l’unico Paese in Occidente che dispone di almeno tre servizi di sicurezza pubblica, carabinieri, finanzieri e agenti di polizia svolgono infatti le stesse funzioni ed hanno strutture organizzative autonome. A parte il fatto che questa pluralità non trova giustificazione nemmeno nella specializzazione, crediamo che, piuttosto che agevolare, tali organizzazioni complicano l’azione sul territorio, non è raro il caso che si registrano episodi di antagonismo che hanno effetti non positivi per la garanzia della sicurezza dei cittadini. A parte questo, una situazione simile è certamente fonte di spreco poco giustificabile in un tempo di vacche magre.

Le somme risparmiate con l’adozione di tali provvedimenti potrebbero essere utilizzate per l’abbassamento, anche se lieve, della pressione fiscale ciò che consentirebbe ai cittadini di disporre di maggiore risorse da immettere sul mercato fatto salutare per fare ripartire l’economia.

Qualcuno potrebbe dire: ma le riforme costituzionali vogliono tempo! Certo che vogliono tempo, ma se si mettono da parte le divisioni, se prevale l’interesse al bene comune superando ridicoli veti e opportunistiche pregiudiziali, ed io auspico in questo senso un Governo unitario, in otto mesi queste riforme potrebbero essere varate consentendo quella svolta che le chiacchiere inutili e le proteste inconcludenti, non ci possono certamente dare.

 

Pasquale Hamel

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