“Le particelle elementari” di Michel Houellebecq

Due fratellastri, due storie perpendicolari intersecate dall’assenza di una madre troppo impegnata a percorrere la famosa strada di kerouacchiana memoria. Un viaggio nell’esperienza di relazione vissuta tra un alternarsi e miscelarsi di condanna e riscatto, delitto e pena, aspettativa e tragedia, amore e annullamento. Michel e Bruno, il primo brillante scienziato il secondo professore di lettere, il primo quasi estraneo al contatto fisico, il secondo un fissato del sesso con un’irrefrenabile pulsione onanista. Dal loro incontro tragico con due donne si dipanano le scelte (?) finali del romanzo, il segnale del disfacimento di un universo che per anni ha smerciato nirvana a buon mercato, felicità fragile, illusione di libertà. Il romanzo di uno scrittore duro e critico che non lascia spazio all’uomo, che non gli dà  nemmeno fiducia, che lo denuda dei suoi sogni, e lo annichilisce nell’unione infinita di infinitesimali particelle. I protagonisti sopravvivono tra tentativi tragici di amore assoluto ed esperienze di mortificante squallore, di lirismo  scapigliato e verismo verghiano. Una rassegna di personaggi reali e romanzati, di cambiamenti epocali con risultati gattopardeschi. Una trama intessuta di “crudo realismo” e fantascientifico esito.  Da tutti questi dualismi emerge il disagio dei figli (si potrebbero definire “i nipoti dei fiori”)di una generazione che  ha vissuto nella trascendenza (in senso Kantiano) dell’individualismo, nell’esaltazione del miraggio chimico e nel sogno di una libertà sconfinata, ma che  alla fine del lungo trip si è risvegliata in un mondo ad essa  alieno.

Non posso dire di avere amato questo romanzo perché  ha riguardato più che altro la mie pulsioni, il mio lato animale,  rimanendo sostanzialmente estraneo alla mia sfera emotiva, e questo  basterebbe a non farne una delle mie letture da ricordare. Inoltre  non sono riuscito ad individuare fino in fondo quanto di retorico e “facile” ci sia in questa disanima di un’epoca che comunque ha cambiato le regole del gioco, quanto di reazionario o moralistico si nasconda dietro  questa invettiva contro l’uomo.

Il mio giudizio finale su questa opera dunque si scontra con la sensazione (personale e quindi discutibile) di avere letto l’ennesimo romanzo furbo che, dietro un’apparenza “alternativa”, nasconde solo la volontà di andare incontro al gusto di un certo pubblico. Non la volontà di raccontare una storia, ma quella di raccontare la storia che qualcuno vuole sentire.

Gianni Raniolo

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