Cos’è una notizia, e cosa invece non lo è? Chi decide di cosa parleranno i telegiornali domani e sulla base di quali criteri? Cosa vuol dire fare l’inviato speciale in un paese tormentato da un conflitto? E come si evolverà la professione giornalistica nell’era di Internet? A queste e ad altre domande si propongono di rispondere sette grandi nomi del giornalismo mondiale, che a partire dallo scorso dicembre e fino a giugno 2008 si alterneranno sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, per la rassegna “Lezioni di giornalismo” prodotta dal settimanale d’informazione “Internazionale” in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma. A condividere la propria esperienza professionale con un pubblico fatto di giornalisti già navigati, di giovani apprendisti ma anche e soprattutto di lettori, tra gli altri, James Nachtwey, fotoreporter e fotografo di guerra, Marjane Satrapi, autrice di fumetti iraniana e Robert Fisk, corrispondente dal Medio Oriente per “The Independent”, mentre ad inaugurare il ciclo di incontri lo scorso 2 dicembre è stata Amira Hass, scrittrice e giornalista nata a Gerusalemme, vincitrice di importanti riconoscimenti come il “Press Freedom Hero award”, la Colomba d’Oro per la pace nel 2001 e il “Premio Unesco/Guillermo Cano per la libertà di stampa nel mondo” 2003, ed oggi unica corrispondente israeliana a vivere nei territori occupati della striscia di Gaza.
E dalle pagine del quotidiano israeliano Ha’aretz, per il quale scrive, e da quelle di Internazionale, per il quale tiene un “diario dall’occupazione”, la Hass dimostra, non con parole vuote bensì con le proprie, autorevoli perché intrise di fatti vissuti sulla sua stessa pelle, quanto sia difficile dare voce a chi la grande maggioranza dei media tende a zittire, quanto sia importante, oggi più che mai, bandire il conformismo e indagare sulle ragioni profonde di ciò che accade intorno a noi.
“Non ho mai studiato giornalismo”, spiega con una certa timidezza “ma ho imparato questo mestiere sul campo. E se c’è una cosa della quale ho compreso l’importanza, in tutti questi anni, è la capacità di evitare i luoghi comuni, tanto stilistici quanto, soprattutto, mentali. C’è una pigrizia di fondo che oggi caratterizza troppi giornalisti cosiddetti professionisti, che copiano le notizie gli uni dagli altri, che tendono ad accettare la versione dei fatti dettata e spesso imposta dal Potere, senza prendersi la briga di grattare la superficie dei fatti per scoprirne le vere cause scatenanti, giornalisti che hanno smesso di porsi domande e di avanzare dubbi su quello che accade e che non fanno altro che raccontarci ciò che le istituzioni, nazionali e internazionali, dei paesi democratici e non, vogliono che ci venga raccontato”.
Gli esempi che Amira Hass propone, nella sua lezione-conferenza “Cronache dall’occupazione”, sono quelli più vicini alla sua esperienza personale. “Ho incontrato molti giornalisti, durante questa settimana di soggiorno a Roma. Sono stata intervistata da loro, e tutti mi hanno chiesto quale fosse la mia opinione sulla conferenza di pace di Annapolis [tenutasi alla fine dello scorso novembre, n.d.r.], mi hanno posto domande molto specifiche sulle delegazioni internazionali, sul ruolo del presidente americano Bush, sul processo di pace, ma nessuno ha menzionato altre notizie molto più importanti che negli stessi giorni provenivano da Israele: la decisione del Governo di tagliare i rifornimenti di benzina ed elettricità per la striscia di Gaza, dove vivono un milione e mezzo di persone, costringendo i palestinesi a comprare questi mezzi da Israele ed aprendo la via alla diffusione di molte malattie, visto che l’acqua disponibile in quei territori è contaminata e solo attraverso appositi impianti che funzionano per l’appunto a elettricità e benzina è possibile depurarla; gli appelli avanzati dalle ONG di tutto il mondo perché l’approvvigionamento non venga ridotto; il mancato smantellamento dei posti di controllo israeliani in territorio palestinese, che il Governo del mio paese non ha fatto che cercare di legittimare nonostante la loro indiscutibile illegalità… Nessuno mi ha chiesto perché Israele sembra interessato a vincere la pace, come si vince una guerra, e non a farla”.
La stampa Occidentale, secondo la scrittrice, tende a dipingere ogni azione intrapresa dalle forze armate del suo Paese come la reazione ad un atto di violenza palestinese, mentre nessuno si preoccupa di riportare ogni atto di violenza perpetrato dagli israeliani, una violenza che ha perso la sua dignità di notizia perché da quarant’anni a questa parte è diventata quotidiana, e la routine, si sa, ciò che non è “nuovo”, non interessa a nessuno.
“Perché la stampa britannica si concentra tanto sulle vicissitudini della famiglia reale e sui suoi scandali, e non grida allo scandalo vero, che per me è costituito dal fatto che esista una famiglia reale, e un re e una regina, e dei principi e dei sudditi? Perché l’Herald Tribune di oggi titola ‘Settimana da incubo per i trasporti italiani’, racconta per filo e per segno tutte le sventure capitate agli utenti del trasporto pubblico italiano dedicando poche righe alle ragioni dello sciopero, e scartando senza mezzi termini la possibilità che, se chi lavora in quel settore sciopera, probabilmente è perché lo Stato si occupa troppo poco delle condizioni del trasporto pubblico?”. Queste, tra gli altri, le perplessità e i quesiti posti da un’israeliana attenta e non condiscendente che ha deciso di stabilirsi in territorio palestinese e da lì, con la forza delle parole e al di sopra delle parti, partecipa alla lotta per la verità.
Nel video, disponibile cliccando qui, le sue risposte.
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