Che le dimissioni di Mario Draghi fossero nell’aria non è un mistero. Con l’avvicinarsi della fine della legislatura era normale che forze politiche diverse (per storia, cultura e tradizione) – specie quelle che avevano collocato un piede in una scarpa (maggioranza) e uno in nell’altra (opposizione) – facessero di tutto per smarcarsi dal cappio cui erano state obbligate dal dictat del presidente Sergio Mattarella all’atto del conferimento dell’incarico all’ex governatore della Bce. Cercavano solo l’occasione e quando si è presentata non se la sono lasciata sfuggire. Troppo alta la posta in palio (gestione del fondi del Pnrr) per continuare a farsi coinvolgere in responsabilità dalle quali sarebbero derivati solo danni, come evidenziato dai sondaggi. Che non si aspettasse altro trova conferma nella fulminea esplosione della campagna elettorale, con tanto di annunci a effetto, organigrammi e strategie varie.
Non era neanche un mistero che le dimissioni di Super Mario non sarebbero rimaste circoscritte all’alveo romano. Difficilmente la cosiddetta autonomia dei territori, tanto sbandierata a parole ma puntualmente contraddetta nei fatti, avrebbe evitato le contaminazioni romane. Ne fa prova la Sicilia, dove il centrodestra ha da tempo iniziato le grandi manovre in vista delle Regionali, dando vita a un’interlocuzione sull’asse Palermo-Roma (con puntatine ad Arcore) tutt’altro che indicativa della volontà di assecondare il desiderio del presidente Nello Musumeci di una seconda candidatura. Un tira e molla estenuante cui ha posto fine lo stesso Musumeci annunciando ieri sera le proprie dimissioni, confermate per iscritto oggi con una comunicazione al presidente dell’Ars, secondo quanto previsto dalla legge.
Se si tratta di un’uscita di scena definitivo, o di una mossa che sottintende altro, è presto per dirlo. Lo si saprà nei prossimi giorni quando il Manuale Cencelli verrà riposto nel cassetto e la composizione delle liste sarà ultimata. Una decisione dettata da ragioni tecniche e non di ordine politico – ha precisato il presidente, con riferimento alla scuole che resterebbero chiuse una volta sola anziché due, alla riduzione degli assembramenti spesso causa di contagi Covid, al risparmio economico che ne deriverebbe. Se l’intelligenza è la capacità dell’individuo di adattarsi alle situazioni che cambiano, bisogna riconoscere che il presidente è stato più che bravo, non solo perché non ha alimentato polemiche, ma perché, nonostante l’anomalia dovuta all’annuncio dato via Facebook, ha anche conferito un tono istituzionale alla sua decisione. Tuttavia faremmo un torto alla nostra intelligenza se ci fermassimo qui. È evidente infatti che, unificando le due competizioni, l’una finirà con il fare da traino all’altra. Certo, ci sarà da fare i conti con il responso delle urne, ma lo si affronterà con la consapevolezza di avere fatto tutto il possibile. Altro che ragioni tecniche.
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