Le condanne definitive per l’omicidio Caponnetto Strangolato dal clan per una mancata assunzione

È arrivata la sentenza definitiva per gli autori del barbaro omicidio dell’imprenditore agricolo paternese Fortunato Caponnetto, sparito l’8 aprile 2015, vittima di lupara bianca. Ad essere condannati in via definitiva al termine di un processo col rito abbreviato i collaboratori di giustizia Carmelo Aldo Navarria, Gianluca Presti e Francesco Carmeci, condannati i primi due a otto anni ciascuno e il terzo a sei anni di reclusione. Mano pesante invece per Gaetano Doria e Stefano Prezzavento, condannati entrambi a 14 anni. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’Appello di Catania. 

Al processo erano state ammesse come parti civili la moglie, i figli, il padre e le tre sorelle dell’imprenditore. Parte civile anche il Comune di Belpasso. Non erano state accolte invece le richieste di costituzione presentate da due associazioni antimafia. Confermato pertanto anche il risarcimento da 30mila euro per il danno all’immagine al Comune di Belpasso, parte civile nel processo con l’avvocato Ignazio Danzuso. Gli amministratori belpassesi hanno reso necessaria la costituzione di parte civile in tutti i gradi di giudizio al fine di difendere e tutelare il buon nome e la volontà di riscatto di immagine e morale del Comune. 

«Questa azione giudiziaria – ha specificato il sindaco Daniele Motta –  è una scelta doverosa nei confronti dei nostri concittadini al fine di garantire la predominanza della legalità nel nostro territorio. Riteniamo che questa debba essere una strada che ormai tutte le amministrazioni devono intraprendere». 

Le indagini condotte dai carabinieri suffragate anche dalla testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia hanno consentito di ricostruire la tragica fine dell’imprenditore paternese. Dalla ricostruzione fatta dagli inquirenti la vittima sarebbe stata condotta all’interno di un immobile appartenente a Navarria (braccio destro del boss Giuseppe Pulvirenti u Malpassotu),conosciuto negli anni ’80 come lo spazzino. Avrebbe avuto, cioè, l’abilità di fare sparire i cadaveri di persone vicine ai clan rivali oppure di esponenti legati alla stessa cosca. La ricostruzione dice che i condannati hanno bloccato con la forza Caponnetto, lo hanno legato, percosso e bloccato «nuovamente dopo un tentativo di fuga – come si leggeva nel dispositivo relativo alla richiesta di rinvio a giudizio – e infine Navarria lo strangolava, provvedendo poi, unitamente ai coindagati, a far scomparire il cadavere, l’autovettura e gli effetti personali della vittima». 

Navarria avrebbe ucciso l’imprenditore a causa di «forti rancori scaturiti dal mancato rispetto, da parte di questi, di impegni di natura economica presi con il Navarria e che tra l’altro coinvolgevano, per aspetti diversi, esponenti del clan Santapaola- Ercolano e del clan Laudani». Il movente sarebbe da addebitare alla promessa non mantenuta da Caponnetto di assumere Navarria presso la propria azienda, preferendogli un presunto appartenente ad altra organizzazione mafiosa operante nel Paternese. La moglie di Navarria, inoltre, è stata licenziata. Uno sgarro che l’ex braccio destro del Malpassotu non gli avrebbe perdonato. 

Salvatore Caruso

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