L’azienda modello e i «metodi tribali» con i lavoratori Da Messina a Milano tra nobiltà e braccianti sfruttati

Le nobili origini siciliane, gli studi alla Bocconi e una realtà imprenditoriale pluripremiata che riusciva a coltivare, grazie a serre fotovoltaiche di ultima generazione, fragole, lamponi, mirtilli e more a soli quindici chilometri di distanza dal Duomo di Milano. La sua fortuna il 31enne Guglielmo Stagno D’Alcontres l’aveva costruita all’ombra della Madonnina con il marchio StraBerry. «Buoni, puliti e belli» erano le parole che accompagnavano ogni campagna promozionale, almeno all’esterno. Perché in quelle serre D’Alcontres avrebbe instaurato un vero e proprio «regime del terrore», con decine di lavoratori di origini africane sfruttati e denigrati, costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno a 4,50 euro l’ora. D’Alcontres si autoproclamava «il maschio dominante» che adottava «metodi tribali»: quelli con cui «bisognava lavorare» per fatturare.

Gli investigatori della guardia di finanza del comando provinciale di Milano, nei giorni scorsi, hanno sequestrato l’azienda del rampollo messinese dal valore 7,5 milioni di euro. Nell’inchiesta D’Alcontres è indagato, insieme ad altre sette persone – tra cui la madre Fabrizia Pilla – per lo sfruttamento di almeno cento lavoratori. I finanzieri hanno incrociato testimonianze e intercettazioni telefoniche. Alla fine, come scrive il sostituto procuratore Gianfranco Gallo nel provvedimento di sequestro, il quadro venuto fuori è «sconcertante».

Nei campi di fragole bisognava essere veloci nella raccolta. I braccianti, stando a quanto emerso dall’inchiesta, non potevano allontanarsi nemmeno per bere, e disponevano di 60 minuti per la pausa pranzo. Per chi non rispettava le regole – era vietato pure parlare – l’organizzazione aziendale prevedeva l’allontanamento temporaneo. Una sorta di ritorsione che significava non potere lavorare per qualche giorno: insomma castigarne uno per educarne cento. «Domani cominciamo a buttarli fuori una alla volta, anche quelli vecchi», diceva l’imprenditore a un suo collaboratore accusato di essere troppo morbido nella gestione degli operai. «Il primo che rompe i coglioni va a casa, vediamo se gli altri non stanno attenti». Un lavoro sottopagato a cui si aggiungevano i quasi quotidiani straordinari non riconosciuti come tali. «Stamattina – continuava D’Alcontres intercettato – ho visto uno che parlava e dopo un secondo l’ho mandato a casa e non gli concedo la seconda possibilità. È il terrore di rispettare le regole».

Nell’elenco delle testimonianze sono finite due categorie di lavoratori. Da un lato coloro che, senza essere pagati, effettuavano due giorni di prova finendo poi licenziati. Dall’altro lato chi, seppure tra tante sofferenze, riusciva a resistere allo schema aziendale del 31enne. «Non c’è nessun tipo di rispetto nei mie confronti e dei miei colleghi – racconta uno di loro agli inquirenti – Usavano parole come “negro di merda”, “coglione” e “animali”. Loro offendevano sempre tutti gli africani». Gli stessi che non avrebbero nemmeno potuto usufruire del bagno chimico, riservato «a esclusivo uso del personale di origine italiana». Per gli altri l’unico confort era un tubo di gomma per lavarsi, magari senza farsi notare quando l’azienda ospitava le visite guidate.

D’Alcontres proviene da una nobile famiglia siciliana. Il padre Ferdinando – morto nel 1990 quando l’imprenditore aveva due anni – è stato al vertice dell’Istituto autonomo case popolari di Messina, oltre a essere stato assessore e consigliere provinciale della Democrazia cristiana. Lo zio del 31enne, anche lui di nome Guglielmo, ha occupato il ruolo di presidente della Croce Rossa siciliana e del Sise 118. C’è poi la figura di Francesco Stagno D’Alcontres, per quattro volte parlamentare, e dell’ex rettore dell’università di Messina Guglielmo Stagno D’Alcontres, prozio dell’imprenditore di StraBerry.

Dario De Luca

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