Lavoro nero colpisce terziario, edilizia e agricoltura  «In media è al 33,7% ma gli ispettori restano pochi»

A Palermo le percentuali di lavoro nero sono tra le più alte d’Italia ma a fronte di questo i controlli sulle aziende sono affidati a un numero di ispettori insufficiente ad arginare questo fenomeno. Questa la fotografia sul sommerso nella provincia che emerge dall’analisi della Cgil, che ha incrociato i dati regionali dell’Istat con quelli dell’ufficio vertenze legali del sindacato nel capoluogo regionale. «Abbiamo preso in considerazione i tre settori più colpiti, agricoltura edilizia e terziario – spiega Calogero Guzzetta, segretario della Cgil Palermo – Per quanto riguarda gli ambiti alberghiero ristorazione e servizi  la percentuale è al 37,6 per cento che passa al 37,5 per cento in agricoltura e al 26 per cento nell’edilizia anche se, prendendo in considerazione l’edilizia privata e quindi non i grandi cantieri, si sfiorano punte del 50 per cento». In media in questi tre settori «il dato è pari al 33,7 per cento – aggiunge Guzzetta –  di a fronte di una media siciliana del 27 per cento e una italiana che si colloca intorno al  per cento». 

Il problema principale che porta la città ad avere percentuali così alte di lavoro nero per il sindacato è da ricercare nell’inadeguatezza dei controlli. «A Palermo abbiamo un problema serio: tenendo conto di tutto il personale preposto alle verifiche in questo ambito – sottolinea Guzzetta –  ci sono 51 ispettori a fronte di 79595 imprese attive. Ma non finisce qui. Gli ispettori dell’Upl (Ufficio provinciale del lavoro ndr) deputati in via esclusiva a fare i controlli sul lavoro nero sono quattro a Palermo contro i trenta di Catania e i venti di Caltanissetta». Ma la Cgil si spinge oltre ed elabora i dati in modo volutamente provocatorio: «Se si suddividono le 79595 imprese per 51 ispettori dovrebbero controllare in media 1842 imprese ciascuno – calcola Guzzetta – e se lavorassero 365 giorni l’anno ci vorrebbero più di quattro anni per fare un singolo controllo a impresa. Se questo dato fosse suddiviso solo per i quattro ispettori ci vorrebbero 51 anni, escluse sempre ferie, capodanno e ferragosto». Dati allarmanti che richiedono per la Cgil interventi tempestivi e mirati: «Chiediamo che la Regione si attivi per un piano di assunzioni degli ispettori del lavoro – afferma il sindacalista – ma lo strumento del controllo non basta, occorre attivare protocolli con le associazioni datoriali e attivare un tavolo in prefettura per cercare di limitare e arginare questo fenomeno».

L’intervento da parte della Cgil si muove quindi su più fronti. Da un lato accende i riflettori sul fenomeno lanciando un appello alle istituzioni e dall’altro la sensibilizzazione dei cittadini sui costi del lavoro nero in termini di sfruttamento del lavoro precario, di pressione fiscale che grava esclusivamente a carico di chi non evade e di concorrenza sleale a danno degli imprenditori onesti. «Se apriamo la maglia del lavoro grigio – conclude Guzzetta – queste percentuali potrebbero raddoppiare: ci sono migliaia di lavoratori che hanno contratto di lavoro irregolare. Senza contare che magari se licenziati non fanno causa e quindi c’è un’altra platea di lavoratori in nero difficile per noi da intercettare. Le nostre analisi quindi sono oggettive ma non del tutto esaustive». 

Oggi a Mondello è stata lanciata la campagna della Cgil Il lavoro? Mai più nero, partendo dal terziario poi a fine settembre si passa all’edilizia e quindi dai cantieri e a fine ottobre, in coincidenza con la vendemmia, al fianco dei braccianti. Presenti il segretario generale di Filcams Cgil Palermo Monja Caiolo, il segretario generale di Fillea Cgil Palermo Piero Ceraulo e il segretario generale della Flai Cgil Palermo Dario Fazzese. 

A Palermo cresce il numero delle imprese del terziario per quanto riguarda la ristorazione e i servizi alberghieri ma secondo i dati forniti oggi questo si accompagna con un aumento del lavoro nero: «Siamo impegnati in un volantinaggio tra spiaggia e i locali di Mondello – afferma Caiolo – per informare i lavoratori circa i loro diritti: finita la stagione estiva può fare richiesta della Naspi. Allo stesso tempo però vogliamo sensibilizzare cittadini e turisti sul fatto che chi lavora per garantirgli una bella vacanza spesso sono precari sfruttati. Negli ultimi anni, dal 2017 a oggi, hanno aperto a Palermo 700 locali, tra ristoranti bar e pub, ma a fronte di queste aperture si è visto un innalzamento del tasso del lavoro nero. Chi decide di aprire già parte senza mettere in regola il lavoratori». Per questo, oltre ad aumentare il numero degli ispettori a tappeto e programmare ispezioni periodiche in modo regolare, per la Filcams si dovrebbero siglare protocolli con le associazioni datoriali come Confcommercio, Federturismo o Confidustria «prevedendo delle forme che possano consentire l’emersione. Capiamo che quando i rapporti irregolari sono molti è un percorso difficile da affrontare tutto in una volta e siamo disponibili a ragionare sul fenomeno e trovare soluzioni».

Il problema aumenta anche di proporzioni cambiando categoria produttiva: «Se trasliamo il dato regionale del lavoro nero a livello provinciale nel settore dell’edilizia privata  – conferma Ceraulo questo tocca il 50 per cento. E non solo. A circa 500 dei 6000 lavoratori attivi messi in regola nella provincia di Palermo, secondo i dati della Cassa edili, vengono versate 20 ore di lavoro settimanali, come se fosse una sorta di part time. Un dato inverosimile se si pensa che non si può lavorare nei cantieri soltanto tre o quattro ore al giorno».

Un fenomeno che da sempre interessa anche il mondo agricolo. «Nel settore parliamo di una media regionale del 37,6 e anche a Palermo si assesta su questo dato – precisa Fazzese –  al quale si aggiunge il pezzo del lavoro grigio, con contratti stagionali dove poi in effetti si lavora il doppio. Un sommerso non rilevabile dalla cassa previdenziale. In parte questo è dovuto alla debolezza strutturale del settore agricolo, fortemente parcellizzato  e che quindi non riesce a competere con i prezzi della grande distribuzione e si finisce poi per scaricare sul salario il problema. Spesso ai lavoratori vengono riconosciute 101 o 151 giornate che servono al lavoratore per avere un anno previdenziale pieno ma così perdono metà del salario». 

Stefania Brusca

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