Una rete d’insospettabili al servizio dei Laudani. Sono gli uomini e le donne borderline dell’operazione antimafia I vicerè che ha portato all’arresto di 109 persone. C’è il tassista, il giovane finanziere catanese in servizio in Puglia, la signora con la passione per le pubbliche relazioni ma anche «il tipo particolare» che gira il mondo e ama l’aria del Sud America. Tante sfaccettature e un solo business: il narcotraffico. Droga, cocaina in modo particolare, che per anni avrebbe foraggiato il mercato catanese grazie al supporto determinante di alcuni intermediari.
Rapporti ovunque dalla Calabria fino all’Olanda. Nella città di Reggio Calabria, l’uomo di fiducia del clan etneo per le forniture sarebbe stato Giorgio Barreca. La sua con i Laudani è un’amicizia di vecchia data, nata tra il padre e lo storico boss ergastolano Sebastiano. Secondo i magistrati, ufficialmente proprietario di un ristorante lungo il litorale reggino, Barreca avrebbero curato i rifornimenti dal 2003 al 2009 e non solo. «Era a disposizione per qualsiasi cosa […] loro verrebbero subito a Catania per noi», racconta il pentito Giuseppe Laudani. «Erano come nostri familiari anche se avevano un gruppo autonomo».
I collegamenti calabresi si sarebbero estesi anche più a Est con la potente cosca ‘ndranghetista dei Morabito. Un filo diretto che negli anni avrebbe unito Catania e Africo, nella locride. In questo sperduto angolo della Calabria la ‘ndrina locale gestisce da decenni affari illeciti e un traffico di droga a livello mondiale. «Nel 2009 mi sono recato in un bar e abbiamo concordato l’acquisto di un chilo di cocaina per 43mila euro. Il pagamento è avvenuto in contanti quello stesso giorno». Il particolare viene svelato dal collaboratore Nazareno Anselmi.
Tra il 2006 e il 2007 la droga sarebbe arrivata a Catania anche dall’Olanda. Un traffico organizzato in maniera capillare che aveva il suo periodo caldo durante i mesi estivi, grazie all’aumento dei voli aerei. A fare da tramite una rete di corrieri in carne e ossa. Uomini e donne disposti a viaggiare con ovuli pieni di cocaina dentro l’intestino da Amsterdam all’aeroporto Fontanarossa. «Ogni volta veniva portata un chilo di droga, suddiviso anche per sette persone». A fornire i dettagli agli investigatori è sempre il collaboratore di giustizia Anselmi. Il pentito punta il dito contro Andrea Privitera che, insieme al fratello Alessandro, si sarebbe occupato del traffico. «Ci riforniva anche sulla fiducia, potevamo pagargliela anche a poco a poco dopo la vendita». «Un tipo particolare», lo definisce in un verbale d’interrogatorio Giuseppe Laudani, che poi prosegue: «Si trovava sempre in giro per il mondo tra Colombia, Venezuela e Argentina».
Nella lista dei rapporti elencati nell’ordinanza di custodia cautelare trovano spazio i fratelli scicasoldi. Soprannome di Riccardo e Sebastiano Zappalà, quest’ultimo di professione tassista. Ufficialmente non affiliati ma che avrebbero messo a disposizione i propri contatti per gli affari della droga dei Laudani. «Mi presentarono un ragazzo appartenente alla guardia di finanza che nel 2006 era in servizio in Puglia ma di origini catanesi; questo è coinvolto in un traffico di hashish e marijuana che importa a Catania». L’aneddoto viene svelato da Anselmi. Il collaboratore cita tre incontri che sarebbero avvenuti in presenza del finanziere. Faccia a faccia per gli affari della droga vissuti con apprensione dal militare: «Aveva timore di essere fotografato con me perché conosceva quello che facevo».
Uno dei canali che negli anni sarebbero stati aperti per i rifornimenti di droga porterebbe in Puglia, ad Andria, provincia di Bari. Dove aveva contatti Paola Torrisi, una donna-cerniera che, grazie ad amicizie e conoscenze nel mondo della mafia catanese, avrebbe fatto anche da intermediaria in un summit a Giardini Naxos tra Sebastiano Laudani e Marco Grimaldi per la nascita di un gruppo dei mussi di ficurinia a Caltagirone. «Paola fa pubbliche relazioni, parla con tutti, fa affari con tutti», racconta Giuseppe Laudani citando anche Angelo Santapaola. In precedenza, la donna avrebbe aperto la strada all’ex reggente della famiglia di Cosa nostra catanese con alcuni fornitori napoletani. Salvo poi essere messa da parte. Una linea anarchica che contraddistinguerà tutta la gestione del cugino di Nitto Santapaola, fino all’esecuzione da parte dei suoi stessi sodali nel 2007.
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