Un’intercettazione può dire molto. Per esempio svelare il nuovo nome del reggente della famiglia catanese di Cosa nostra dei Santapaola: «Il bianco deve diventare rosso al più presto possibile». Indizio captato attraverso un sms risalente al 5 gennaio 2017, che porta gli investigatori al nome di Antonio Tomaselli, conosciuto con il diminutivo di Penna bianca. Un volto, il suo, della Cosa nostra vecchia maniera, a discapito di una carta d’identità che segna appena 51 anni. Sarebbe lui, secondo la procura etnea e il Ros dei carabinieri, il nuovo capo dei Santapaola. Destabilizzati dai continui arresti ma capaci di rigenerarsi in tempi rapidissimi, anche a discapito di chi non è finito dietro le sbarre. Lo spartito che emerge nelle carte dell’inchiesta Chaos è quello di un triumvirato che prende le redini dopo l’arresto di Francesco Santapaola. Da un lato Marcello Magrì e Rosario Lombardo, capaci di tenere i ranghi serrati nel territorio di Catania, e dall’altro Tomaselli, accusato di tessere la tela mafiosa nei confini della provincia. Con l’arresto del primo e i domiciliari che obbligavano il secondo a non uscire dalla sua casa di viale Biagio Pecorino, in libertà rimaneva solo penna bianca ed è cosi che si sarebbe preso in mano la famiglia.
Se vuole la carta deve andare da mio padrino
Un passaggio di consegne senza spargimenti di sangue ma che dietro le quinte nasconde una tensione crescente, tanto da programmare un agguato, mai realizzato, nei confronti del nuovo boss. Tomaselli si sarebbe mosso con l’intenzione di riprendere in mano tutti gli affari un tempo gestiti da Santapaola. Suo predecessore mai tanto amato. Al punto da insultarlo con il nomignolo di «panzerotto», perché bollato come poco sveglio. Le indagini portano dritti agli affari di Cosa nostra catanese: dagli stupefacenti da comprare in Albania, passando per le armi e gli stipendi da versare agli affiliati, e finendo con le estorsioni. Queste ultime contenute in un libro mastro passato di mano in mano fino a fermarsi per un periodo in quelle di Lombardo: «Io gli ho detto che se vuole la carta deve andare da mio padrino, e chiedi a lui», raccontava Luca Marino, ritenuto a capo del sobborgo di San Giovanni Galermo, proprio a Lombardo, che replicava mentre era agli arresti domiciliari: «Bravo, tanto ce l’ho io». Un muro solo apparente che si era già sgretolato con il passaggio di testimone, almeno secondo gli inquirenti, già sancito durante un summit nelle campagne di Paternò a cinque giorni dal Natale 2016.
Nel faccia a faccia, oltre a Tomaselli, si siedono attorno al tavolo i principali rappresentanti provinciali di Cosa nostra etnea. Da Giarre a Lineri passando per San Giovanni Galermo e Paternò. Penna bianca con la sua gestione avrebbe richiamato all’ordine anche gli storici alleati del clan Nardo di Lentini, nel Siracusano. Incontrati in diversi summit per discutere di affari e delle mire espansionistiche della cosca dei Mazzei: «Il paese vostro è», diceva Fallica, nel ruolo di emissario di Tomaselli al presunto capo dei Nardo, Francesco Calatabiano: «Ci sono tutti i requisiti per fare tornare le cose a posto – continua – per come sono state da una vita». Non solo beghe interne ma anche affari, come quello di una nave da crociera da duemila posti, con casinò, che avrebbe dovuto attraccare al porto di Augusta: «Noi ora ci comportiamo di conseguenza e ci mandiamo qualche segnale», replicavano i Nardo alle richieste di Fallica. Ma dove si possono fare i soldi in modo veloce? Si chiedono i rappresentanti dei Santapaola e dei Nardo. Le risposte non tardano ad arrivare. «Oggi c’è questo mercato dei clandestini, che c’è il boom», dice Calatabiano. Le casse però devono essere riempite a discapito di un settore, quello dei migranti, forse già pieno. «A Siracusa dei ragazzi avvicinati dalla politica hanno fatto delle società e hanno preso i servizi […] Dovremmo fare una cosa che resta nel giro, che non c’è fra Lentini, Francofonte e Scordia». Idea? «Una sala bingo».
800 euro una pistola? Sono assai, fagli togliere qualcosa
I nuovi padrini avrebbero continuano a interessarsi anche del mercato della droga. In un caso avrebbero pure preparato un documento contraffatto da consegnare «a un ragazzo pulito» da mandare in Albania per acquistare un grosso quantitativo di marijuana. Un’operazione senza rischi almeno stando alle intercettazioni finite nell’ordinanza di custodia cautelare: «Sa dove deve salire, arriva a destinazione, non deve parlare di niente. Guarda “Voglio questo”, si va a riprendere il mezzo e torna». Droga ma anche armi. Sia Tomaselli che Carmelo Di Stefano, del gruppo di Lineri, vengono più volte intercettati mentre provano pistole e contrattano sui soldi da sborsare per ottenerle. «Ottocento euro assai è, fagli togliere qualche cosa», diceva penna bianca.
Tomaselli adesso dovrà rispondere di essere il nuovo capo della mafia catanese, nonostante il suo certificato penale sia già ricco di grane giudiziarie. Nel 1996 finiva tra i condannati del processo di primo grado dell’operazione Orsa maggiore, salvo poi essere assolto in Appello. Nel 2001 veniva ferito in uno scontro a fuoco tra gruppi rivali. Il destinatario dei proiettili sarebbe stato l’allora latitante Umberto Di Fazio ma nella traiettoria finiscono Tomaselli e Marcello Magrì. Passati sei anni scattano le manette durante l’operazione Plutone. Dopo la condanna definitiva nel marzo 2013 ritorna in libertà. Pochi anni per raggiungere il vertice che adesso è stato decapitato.
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