L’ascarismo, dal rigassificatore ai ‘maneggi’ in agricoltura

Ieri, nell’introduzione al nostro ‘viaggio’ tra gli articoli dello Statuto,abbiamo cercato di delineare il contesto storico in cui ha visto la luce l’Autonomia siciliana. Oggi cominceremo ad analizzare, ad uno ad uno, gli articoli dello stesso Statuto, per analizzare quelli sono stati applicati e quelli che, invece, sono rimasti lettera morta. O, ancora, quelli che sono stati sbaraccati dal 1946 d oggi.

L’articolo 1 – almeno questo – è stato applicato. “La Sicilia, con le isole Eolie, Egadi, Pelagie, Ustica e Pantelleria, è costituita in Regione autonoma, fornita di personalità giuridica, entro l’unità politica dello Stato italiano, sulla base dei principi democratici che ispirano la vita della Nazione. La città di Palermo è il capoluogo della Regione”.

L’articolo 2 ci dice che gli organi della Regione sono l’Assemblea regionale siciliana, la Giunta e il Presidente. Anche in questo caso, nulla da dire.

L’articolo 3 fissa in 90 il numero dei deputati: e 90 sono ancora oggi. Allora restavano in carica 4 anni. Poi si stabilì che sarebbero rimasti in carica 5 anni.

L’articolo 4 norma l’elezione del presidente dell’Ars e dei due vice presidenti.

L’articolo 5 dello Statuto è quello che è stato sistematicamente violato dal 1946 ad oggi. Leggiamolo assieme e capiremo il perché: “I deputati, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, prestano nell’Assemblea il giuramento di esercitarle col solo scopo del bene inseparabile dell’Italia e della Regione”.

Tranne rare eccezioni, i deputati dell’Ars, in tutti questi anni, hanno fatto tutto, tranne che gli interessi della Regione, ovvero della Sicilia.

L’ultima manifestazione di ‘ascarismo’, fresca fresca, risale a qualche giorno fa, quando Sala d’Ercole, a maggioranza, ha detto “no” alla mozione, presentata dal gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, che puntava a contestare il rigassificatore di Porto Empedocle.

Il rigassificatore non serve alla Sicilia, se è vero che dal nostro sottosuolo passano ben due metanodotti. L’aspetto grave è che questo rigassificatorre dovrebbe essere realizzato a meno di un chilometro, in linea d’aria, dalla Valle dei Templi di Agrigento. Un’assurdità.

Questa, ovviamente, non è l’unica manifestazione di ‘ascarismo’. Andando avanti ci accorgeremo che l’’ascarismo’, inteso come ‘volontà’ dei parlamentari di Sala d’Ercole di svendere gli interessi dell Sicilia al migliore offerente (talvolta anche per quattro soldi), è una piaga molto estesa.

L’articolo 8 dello Statuto ci dice che il Commissario dello Stato per la Regione siciliana “può proporre al Governo dello Stato lo scioglimento della Assemblea regionale per persistente violazione del presente Statuto”. Questo articolo, mai applicato, pone qualche interrogativo.

Lo Statuto è stato sistematicamente violato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari regionali che si sono succeduti dal 1947 ad oggi proprio perché mai applicato del tutto. Il non aver applicatolo Statuto non configura, forse, una “persistente violazione del presente Statuto”? E lo Stato italiano, in tutti questi anni, complice la politica ‘ascara’ della Sicilia, non si è forse reso protagonista assoluto di “persistente violazione del presente Statuto”? Che dovremmo fare, noi siciliani? Non dovremmo proporre lo “scioglimento” dello Stato (ammesso che in Italia ce ne sia uno, per dirla con il protagonista di un celebre romanzo di Leonardo Sciascia, “Todo modo”)?

L’articolo 14 è quello che fissa le competenze della Regione siciliana. Si tratta – o si dovrebbe trattare – delle materie sulle quali la Regione gode di potestà esclusiva.

L’articolo 14, osservato oggi, definisce, forse meglio di qualunque altro articolo dello Statuto, l’incapacità della classe politica di utilizzare appieno le prerogative autonomiste. Si tratta, infatti, come già sottolineato, di materie sulle quali – tranne rari casi – la responsabilità dei problemi ancora oggi non risolti è, in buona parte – e in alcuni casi esclusivamente – della politica siciliana

Prendiamo il caso dell’agricoltura. La competenza della Regione, in questo settore, è esclusiva. Ma l’agricoltura siciliana, da sempre, è in crisi.

Fatto salvo il Governo attuale che si è insediato da qualche mese (e che, anzi, sta cercando, pur tra mille difficoltà, di fornire risposte: si pensi alla pesca, visto che oggi l’assessorato alle Risorse agricole gestisce anche questo comparto), va detto che il fallimento delle politiche agricole, in Sicilia, è sotto gli occhi di tutti quelli che ‘masticano’ un po’ di agricoltura.

Non è esagerato affermare che, in tanti anni di Autonomia siciliana, i copiosi fondi regionali destinati all’agricoltura (questo assessorato è sempre stato, storicamente, il più ‘ricco’) sono finiti in larga parte ai privati (nei primi anni ’80 Giuseppe Fava denunciava l’erogazione di finanziamenti e contributi ad aziende agricole di imprenditori in odore di mafia).

Ad oggi non sono mai stati affrontati in modo organico i problemi della vitivinicoltura, dell’agrumicoltura, della frutticoltura, dell’orticoltura di pieno campo e della stessa serricoltura. Una svolta per la serricoltura della provincia di Ragusa (ma anche di Gela) potrebbe arrivare dall’apertura dell’aeroporto di Comiso, che consentirebbe una commercializzazione dell’ortofrutta di queste zone. Ma l’apertura di questo scalo aereo viene rinviata da due anni per motivi ancora oscuri. 

Ancora oggi i piccoli produttori siciliani vengono ‘’taglieggiati’ e assistono al paradosso dei propri prodotti venduti a pochi centesimi di euro al chilogrammo in Sicilia per essere rivenduti a 8 euro al chilogrammo nel resto d’Italia (è il caso del pomodorino di Pachino: ma di casi se ne potrebbero citare tanti altri).

Alla mancanza di politiche organiche per i vari settori dell’agricoltura si somma – e questo è un fenomeno degli ultimi anni – un interesse diretto dei politici per i contributi e i finanziamenti in agricoltura.

Come succede con la formazione professionale, dove ormai i politici sono i diretti proprietari delle società per azioni che operano in questo settore (la ‘celebre’ formazione professionale ‘friggi & mangia’), anche in agricoltura gli stessi politici incamerano contributi e finanziamenti.

A rendere a dir poco scandaloso quello che succede da una decina di anni a questa parte è stata l’Unione Europea. Contrariamente a quello che si cerca di far credere, la Cee prima e l’Unione Europea poi hanno peggiorato lo stato dell’agricoltura del Sud d’Italia foraggiando le mafie locali (ne sapeva qualcosa Pio La Torre in Sicilia con i centri Aima) e, adesso, anche i politici.

L’inghippo che sta consentendo ai politici di ‘bagnare il becco’ senza problemi in questo mondo lo ha creato, come al solito, l’Unione Europea (ci auguriamo senza volerlo…). Fino a poco tempo fa i contributi a fondo perduto in agricoltura venivano assegnati solo agli agricoltori a titolo principale: cioè a chi viveva di agricoltura. In una parola, ai produttori agricoli.

Da qualche anno a questa parte i contributi sono stati estesi anche agli agricoltori a titolo secondario: cioè a chi, oltre ad occuparsi di agricoltura, fa un altro mestiere (per esempio, il politico…).

Basta essere proprietari di un piccolo appezzamento di terreno e, oplà, ecco un bel contributo a fondo perduto. Chi controlla se, poi, i contributi a fondo perduto erogati hanno dato ‘buoni frutti’, ovvero se l’azienda agricola ha tratto giovamento (e,in alcuni casi, se tale azienda agricola esiste)? La stessa Regione…

Lo stesso discorso può estendersi alle aziende agrituristiche. Dove c’è il dubbio – e forse qualcosa più di un dubbio – che i contributi siano stati estesi ai politici e ai parenti degli stessi politici.

Seconda puntata/Continua

 

 

 

 

 

Redazione

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