L’arte di ottenere ragione online

Internet sta trasformando la scrittura in conversazione. Vent’anni fa gli scrittori scrivevano e i lettori leggevano. Oggi invece i lettori possono rispondere, e lo fanno regolarmente sui forum e nei blog. Molti di quelli che rispondono non sono d’accordo. Bisogna aspettarselo: essere d’accordo è meno divertente che essere in disaccordo.

E poi, quando uno è d’accordo, ha meno cose da dire. Si può aggiungere qualcosa a quello che ha detto l’autore, ma probabilmente le cose più interessanti le ha già dette tutte lui. Quando non si è d’accordo, invece, si entra in un territorio potenzialmente inesplorato.

Ecco perché in giro c’è molto più disaccordo, soprattutto a parole. Non vuol dire che la gente si arrabbia di più: è solo che il nostro modo di comunicare ha subìto un cambiamento strutturale.

Ma anche se non è la rabbia che fa aumentare il disaccordo, il rischio è che questo maggior disaccordo faccia arrabbiare di più le persone. Soprattutto online, dove è facile dire cose che non si direbbero mai di persona.

Se è vero che saremo sempre meno d’accordo, dobbiamo stare attenti a farlo bene. Cosa vuol dire? La maggior parte dei lettori sa distinguere un semplice insulto da una contestazione ben argomentata. Credo però che possa essere utile individuare i livelli intermedi. Ecco quindi un abbozzo di gerarchia del disaccordo.

• Livello zero. Insulto
È la forma più bassa di disaccordo e probabilmente anche la più comune. Tutti abbiamo letto commenti come questo:
6 1 frocio!!!!!!!
Ma è importante rendersi conto che anche forme più articolate di insulto hanno la stessa inconsistenza. Per esempio:
L’autore è solo un semplice dilettante.
Questo commento non è altro che una versione pretenziosa di “6 1 frocio”.

• Livello uno. Attacco ad personam
L’attacco personale non è inconsistente come l’insulto. Per esempio, se un senatore scrive un articolo in cui dice che bisogna aumentare gli stipendi dei senatori, si potrebbe rispondere:
Certo che lo dice: è un senatore.
In questo modo non si contesta l’argomentazione dell’autore, ma si introduce un elemento almeno potenzialmente rilevante. Però è una forma ancora molto debole di disaccordo. Se c’è qualcosa di sbagliato nelle parole del senatore bisognerebbe dire cos’è. E se non c’è, che importanza ha se è un senatore? Dire che una persona non ha l’autorità necessaria per parlare di un argomento è una variante particolarmente sciocca dell’attacco ad personam, visto che spesso le buone idee vengono proprio dall’esterno. Il punto è se l’autore ha ragione o no. Se la sua mancanza di autorità gli ha fatto commettere degli errori, sono questi che vanno messi in evidenza. Altrimenti il problema non si pone.

• Livello due. Rispondere a tono
Da questo livello in poi si comincia a rispondere a ciò che è stato scritto più che a chi scrive. La forma più bassa consiste nel contestare il tono. Per esempio:
Non riesco a credere che l’autore liquidi il disegno intelligente in modo tanto supponente.
Anche se preferibile all’attacco diretto, è comunque una forma di disaccordo piuttosto debole. È più importante capire se l’autore ha torto o ragione invece di soffermarsi sul tono. Soprattutto perché è un aspetto molto difficile da giudicare: chi ha la coda di paglia potrebbe sentirsi offeso da un tono che ad altri magari sembra del tutto neutro. Se il peggio che riuscite a dire di qualcosa consiste nel criticarne il tono, non state dicendo molto. È meglio un autore frivolo che dice cose giuste di uno serioso che però dice cose sbagliate. E se l’autore ha sbagliato da qualche parte, bisogna dire dove.

• Livello tre. Controargomentazione
A questo punto finalmente si comincia a rispondere a ciò che viene detto, invece che a chi e come. La forma più bassa di risposta a un’argomentazione consiste nel limitarsi ad affermare il suo contrario, senza preoccuparsi di dimostrarlo. Di solito va a braccetto con risposte del livello due, per esempio:
Non riesco a credere che l’autore liquidi il disegno intelligente in modo tanto supponente. Il disegno intelligente è una teoria scientifica del tutto legittima.
La controargomentazione può avere una certa consistenza. A volte affermare esplicitamente il contrario di quanto è stato detto basta a dimostrare chi ha torto e chi ha ragione. Ma di solito le prove aiutano.

• Livello quattro. Argomentazione
Al livello quattro arriviamo alla prima forma convincente di disaccordo: l’argomentazione. Le forme precedenti possono essere ignorate perché di solito non provano nulla. L’argomentazione, invece, prova qualcosa. Il problema è che è difficile dire esattamente cosa. L’argomentazione è la controargomentazione più il ragionamento e la prova. Quando è usata per mettere in discussione la questione principale, può essere convincente. Purtroppo, però, di solito non succede. Molto spesso due persone che discutono animatamente di qualcosa in realtà stanno parlando di due cose diverse. A volte sono addirittura d’accordo, ma sono così prese a litigare che non se ne rendono conto. Solo in un caso vale la pena soffermarsi su una cosa diversa da quella che ha detto l’autore: quando pensate che gli sia sfuggito il nocciolo della questione. Ma quando lo fate dovete dirlo esplicitamente.

• Livello cinque. Confutazione
La forma più convincente di disaccordo è la confutazione. È anche la più rara, perché è quella che richiede più fatica. In realtà, la scala del disaccordo è una specie di piramide: più si va in alto, meno casi si trovano. Per confutare qualcuno di solito bisogna citarlo. Bisogna trovare un passaggio in cui viene detto qualcosa che si ritiene inesatto e spiegare perché è sbagliato. Se non si riesce a individuare il passaggio preciso, si rischia di discutere inutilmente. La confutazione normalmente presuppone la citazione, ma la citazione non sempre implica la confutazione. Alcuni citano passaggi di argomentazioni su cui non sono d’accordo per dare l’impressione di una vera e propria confutazione, ma poi scadono in risposte del livello tre o addirittura zero.

• Livello sei. Centrare il punto
La forza di una confutazione dipende da quello che si confuta. La forma più efficace di disaccordo consiste nel confutare l’argomento centrale dell’interlocutore.
Anche al livello cinque a volte si può essere deliberatamente in malafede, per esempio quando ci si limita a criticare gli aspetti minori, come gli errori grammaticali o le piccole imprecisioni sui nomi o sui numeri. A meno che l’argomento non dipenda esattamente da queste cose, l’unico scopo è screditare l’avversario. In questo caso abbiamo una forma più sofisticata di attacco ad personam più che una vera confutazione. Per confutare davvero qualcuno è necessario concentrarsi sul nocciolo della questione. Una confutazione efficace si svolge all’incirca così:
La tesi principale dell’autore sembra essere X. Per esempio, quando dice:
(citazione)
Ma è sbagliato per questi motivi…
La citazione che si ritiene sbagliata non deve necessariamente essere un’affermazione precisa dell’autore o la sua tesi centrale. È sufficiente confutare qualcosa su cui questa si fonda.

Adesso abbiamo un modo per classificare le forme di disaccordo. A che serve? La gerarchia del disaccordo si limita a descrivere la forma di un’affermazione, ma non ci dice se è corretta né come determinare il vincitore. Una risposta di tipo sei potrebbe comunque essere completamente sbagliata. Questa scala non fissa il limite minimo di persuasività di una replica, però ne indica il limite massimo: una risposta di tipo sei può non essere convincente, ma una risposta di tipo due o inferiore non lo sarà sicuramente mai.

Il vantaggio più evidente di classificare le forme di disaccordo è che aiuta a valutare quello che leggiamo. In particolare, aiuta a smascherare le argomentazioni fatte in malafede. Uno scrittore dotato di particolare eloquenza può dare l’impressione di sconfiggere l’avversario semplicemente usando parole forti. È la caratteristica tipica di ogni demagogo.

Attribuendo un nome alle varie forme di disaccordo, abbiamo dato al lettore critico un ago per far scoppiare tutti questi palloncini. Inoltre queste definizioni possono essere d’aiuto anche a chi scrive. Spesso la disonestà intellettuale non è voluta. Chi critica il tono di un’affermazione con cui è in disaccordo magari crede davvero di dire qualcosa.

Fare un passo indietro e vedere dove ci collochiamo sulla scala del disaccordo può aiutarci a passare all’argomentazione o alla confutazione. Ma il più grande vantaggio di imparare a essere in disaccordo è che migliora non solo la conversazione, ma anche l’umore delle persone che stanno partecipando alla discussione. Studiando le conversazioni, ci si rende conto che il livello zero contiene molta più cattiveria del livello sei.

Non serve essere meschini quando si ha veramente qualcosa da dire. La cattiveria a quel punto diventa solo un ostacolo. Salire ai livelli più alti della scala del disaccordo rende le persone meno cattive, e quindi più felici. La maggior parte delle persone non si diverte a essere maleducata. Lo fa perché non può farne a meno.

PAUL GRAHAM è un programmatore, saggista e imprenditore britannico. Nel 2002 ha scoperto un algoritmo che ha ispirato i filtri antispam. Il suo ultimo libro è Hackers & painters (O’Reilly 2004). Questo articolo è uscito sul suo blog con il titolo How to disagree.

[Quest’articolo è stato pubblicato da Internazionale con il titolo “Le parole giuste per essere in disaccordo”]

Paul Graham

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