Gli Inzerillo e il rapporto con la Cosa nostra americana «Sottovalutare il fenomeno ne aiuta la rigenerazione»

Con il ritorno sulle scene della famiglia Inzerillo e l’operazione New connection, che ha portato alla luce interessi criminali e affari tra mafia italiana e cosa nostra statunitense dal sapore che sembrava ormai quasi soltanto essere rimasto soltanto appannaggio di certi film, il filo rosso che lega le mafie dei due mondi torna di prepotenza a occupare le cronache. «I contatti erano tenuti in piedi da Simone e Calogero Zito della famiglia di Torretta con Thomas Gambino e Franck Calì, soggetti di estremo rilievo criminale secondo l’Fbi. Dalle indagini emergono dei flussi di carte di credito al portatore e di denaro contante. Si tratta di materia da approfondire, ma sin d’ora tutto ciò ha destato massimo interesse sia nostro che dell’Fbi» parola degli investigatori riuniti in tribunale a Palermo, il giorno degli arresti. Ma che significato può avere nel 2019 questo legame transoceanico? 

«Operare a cavallo tra economia illegale e economia legale è sempre stato parte integrante del modello d’affari di Cosa Nostra, sia in Sicilia che negli Usa – spiega a MeridioNews John Dickie, docente di Studi Italiani allo University college di Londra, conduttore televisivo e autore di libri come Cosa Nostra: A History Of The Sicilian Mafia e Blood Brotherhoods: the Rise of the Italian Mafias – Come ci ha insegnato Salvatore Lupo, il “vecchio ponte” transatlantico (vedi Operazione Old Bridge del 2008) tra le due mafie è sempre stato una dimensione importante del sistema mafia: da oltre un secolo uomini, merci e idee criminali vanno avanti e indietro tra le due sponde. L’interruzione di quel ponte è dunque un sintomo importante della crisi che la mafia sta vivendo sia in Sicilia che negli Stati Uniti». Nulla di nuovo sotto al sole, dunque, ma guai ad abbassare la guardia. Tutt’altro, è quando può lavorare sotto traccia che la mafia riesce a ritrovare forze fresche e nuova linfa. 

«Qui (Negli Stati Uniti ndrsi continua sempre a scrivere il necrologio di Cosa nostra, ma è come una sorta di hydra che si rigenera continuamente – spiega Antonio Nicaso, autore di best seller sulle mafie, ultimo dei quali L’inganno delle mafie, Quando i criminali diventano eroi, scritto con il magistrato Nicola Gratteri e insegnante alla Queen’s University a Kingston, e alla St. Jerome University a Waterloo, in Canada –  È chiaro che non è quella degli anni ’70, ma è una Cosa nostra che cerca di orientarsi verso investimenti, verso partenariati criminali e quindi sta cercando sempre di più di diventare governo del territorio, infilarsi nell’economia, nelle istituzioni. E questo si nota».

D’altra parte, chiuso il capitolo Riina, la mafia siciliana punta a riprendere terreno facendo quello che ha sempre fatto prima: «passare da forza eversiva a governo del territorio e recuperare il terreno perduto con la stagione dei corleonesi, quando ha perso molta della credibilità internazionale che aveva assunto ai tempi del traffico internazionale di eroina – continua Nicaso – La stagione delle stragi ha compromesso la reputazione internazionale di cosa nostra, che si esponeva ad azioni terroristiche quando le mafie sono abituate invece a muoversi sotto traccia. Ha perso terreno a scapito della ‘ndrangheta. Oggi sta cercando di colmare questo gap e lo fa attraverso una strategia molto diversa rispetto a quella dei corleonesi. Inzerillo e Gambino sono diversi dal modello dei corleonesi perché intanto sono molto attenti a non farsi notare. Sono attenti negli investimenti e quindi hanno molti soldi. L’idea di tornare in Sicilia era appunto per investire, per tornare a creare nuovi equilibri. Questo stavano cercando di fare». 

Non stupisce dunque l’amicizia tra gli Zito e Frank Calì, boss americano di recente ucciso, di cui Nicaso parla come di «uno di quei personaggi in grado sicuramente di incidere nell’ottica del recupero d’immagine». Insomma, è nel silenzio che la mafia si rigenera. È per questo che, benché «Cosa nostra non goda più di quel prestigio criminale che aveva un tempo, soppiantata dalla ‘ndrangheta, dai cartelli messicani, l’Fbi sa che la sottovalutazione del fenomeno non fa altro che contribuire alla sua rigenerazione, anche perché la mafia è in grado di dialogare con altre realtà criminali. Negli Usa – conclude Antonio Nicaso – Cosa nostra è ancora forte e ha capito che per esserlo ancora di più doveva tornare a stringere rapporti con le famiglie di Palermo. E questo è il grande problema di oggi, ci sono quelli della vecchia guardia che insistono sugli accordi di Riina, ma altri che sanno che “questi hanno i piccioli”. Piccioli da investire, per esempio, nell’import-export di quelli che negli States erano considerati solo prodotti coloniali, ma che adesso sono di largo consumo e offrono un ampio mercato, oltre che una perfetta copertura per affari illeciti».

Gabriele Ruggieri

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