«Gli psicologi dell’hotspot erano stati avvertiti e ci è stato detto che anche la prefettura di Agrigento era stata avvertita, ma non è stato fatto nulla». A parlare a MeridioNews è Giacomo Sferlazzo del collettivo Askavusa di Lampedusa. Nell’isola, questa mattina, un ragazzo tunisino si è tolto la vita. Era sbarcato tempo fa e, dopo il passaggio all’hotspot, aveva deciso di vivere fuori dal centro, per timore di essere prelevato e rimpatriato, in quanto migrante economico e dunque privo dei requisiti per sperare di rimanere in Europa. L’esperienza sull’Isola, però, sarebbe stata sempre più dura, fino all’epilogo di oggi.
«Non lo conoscevo direttamente, ma molti ragazzi del collettivo sì – racconta Sferlazzo -. Si chiamava Alì. Lo hanno trovato in una casa vicino all’hotspot, dove non voleva stare per paura di essere rispedito in Tunisia. C’eravamo accorti della particolarità del suo comportamento, aveva iniziato a parlare da solo. Ma a essere a conoscenza di questa situazione – prosegue l’attivista – non eravamo solo noi».
Sferlazzo, che insieme al collettivo da tempo invoca la chiusura del centro di identificazione, su Facebook ha lanciato un appello a rivedere l’immagine che si ha di Lampedusa. «Questo è solo il fatto più estremo di una serie di atti di autolesionismo che in questi mesi hanno praticato i ragazzi tunisini costretti a rimanere – si legge nel post -. Chiedo a tutti gli amici e amiche di non chiamare più Lampedusa isola dell’accoglienza perché non lo è mai stata, questa rappresentazione fa comodo proprio a chi ne approfitta a livello economico e politico. Non parlate dei lampedusani come eroi, per piacere, perché è una grande falsità».
A esprimersi sull’accaduto è anche il primo cittadino Totò Martello. «Ho saputo della notizia ma non conoscevo il ragazzo – dichiara il sindaco a MeridioNews -. È la riprova ancora una volta di come quella che avviene in questa isola non è un’accoglienza adeguata. Sono tante le persone che vivono fuori dall’hotspot e Lampedusa non può essere un centro di detenzione a cielo aperto. Le persone, dopo la fase di identificazione, dovrebbero essere trasferite altrove e invece rimangono qui anche per mesi». Sulla possibilità che le condizioni psicologiche del giovane fossero state comunicate al personale che gestisce il centro, Martello è netto: «Se fosse così sarebbe grave». Un’ultima battuta sull’ipotesi di dichiarare il lutto cittadino. «Non ci ho pensato, prima cerchiamo di capire che decisioni prenderà la Procura», conclude.
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