«Vivere a Lampedusa significa abitare un luogo geografico che è periferia e centro allo stesso tempo». Raccontare le bellezze e le contraddizioni di un’isola al crocevia tra Africa ed Europa, contemporaneamente protagonista di drammi e speranze di migliaia di uomini e donne che la vedono come un approdo alla salvezza. Con gli occhi e le parole di chi queste storie le vive ogni giorno, raccontandole attraverso arte, musica e poesia. Ieri, in via Cordai, il Gapa e La città felice hanno organizzato un incontro con Giacomo Sferlazzo, artista, poeta e cantautore lampedusano, da anni impegnato attivamente in una terra protagonista di questioni difficili che la portano al centro della scena internazionale. Ma che, al di là della cronaca degli sbarchi, a causa del suo isolamento è vittima di indifferenza ed abbandono.
Una serata nata per discutere, informare e confrontarsi. In cui sollevare, anche a Catania, i vari problemi che affliggono l’isola. Tra viaggi della speranza, morti in mare, frontiere chiuse, rimpatri e respingimenti. Ma per parlare anche di accoglienza, solidarietà e convivenza pacifica tra culture diverse. E per proporre nuove soluzioni ed instaurare collaborazioni tra le diverse realtà locali. Tutto raccontato, «tra arte e politica», dalle canzoni e le poesie di Sferlazzo, insieme ad un video con cui ha mostrato le sue opere. Dal 2005, infatti, l’artista lampedusano realizza sculture ed installazioni con gli oggetti dei migranti di passaggio a Lampedusa. Lettere, libri, vestiti, foto, disegni, abbandonati tra i relitti dei barconi, vengono così recuperati e, insieme al legno delle imbarcazioni, trasformate in testimonianze di memoria.
«L’arte – spiega l’autore a CTzen – è il modo migliore di fare politica in maniera non demagogica, scontata e populista. E che consente metodi d’azione più vasti». L’artista, quindi, in un momento storico come questo, deve «sensibilizzare ed informare, prendendo una posizione chiara». E lui lo fa per raccontare quello che vive ogni giorno con il lavoro all’interno di Askavusa, associazione culturale di cui è tra i fondatori, nata nel 2009 dopo le rivolte contro la costruzione dei Cie sull’isola. E che da allora si impegna sul fronte dei flussi migratori, promuovendo i temi di antirazzismo e accoglienza con tante iniziative, tra cui il Lampedusa In Festival, e raccogliendo materiale riguardante le migrazioni che interessano l’isola all’interno di un piccolo museo.
Storie di migranti, ma anche di lampedusani, protagonisti di grandi atti di umanità. «Quando ci siamo recati a Lampedusa – racconta Anna Di Salvo de La città felice – siamo rimasti stupiti dal comportamento degli abitanti, che, al contrario di quello che si dice, cercano in tutti i modi di accogliere ed aiutare chi arriva, anche superando i divieti delle forze dell’ordine». Nonostante alcuni siano terrorizzati, perché temono che «i pregiudizi sulla presenza dei migranti possano far calare il turismo sull’isola, loro unica fonte di reddito», sottolinea. Ed è proprio la mancanza di informazione sulle reali condizioni in cui versa Lampedusa ad isolare sempre di più la gente che ci vive. «E’ impensabile – continua Di Salvo – che un problema così grande passi spesso sotto il silenzio e l’indifferenza di opinione pubblica e politica, che promette tanto e non mantiene nulla. Sopratutto qui in Sicilia, dove ci riguarda ancora più da vicino».
«Lampedusa si trova in una posizione geopolitica delicata: è la porta d’Europa, ma anche la
porta della vita per i migranti». Che, dopo viaggi disumani, «arrivano credendo di trovare la salvezza e si scontrano con le frontiere sbarrate da leggi assurde, che permettono alle merci di circolare da un continente all’altro e lo impediscono agli uomini». Barriere geografiche, ma anche umane e culturali. Ricordando anche le centinaia di persone che sono morte in mare – «sull’isola non c’è più dove seppellirle» – e porre l’accento anche sul delicato risvolto femminile legato all’immigrazione. «Non tutti sanno – sottolinea Di Salvo – che moltissime donne subiscono ogni tipo di violenza sui barconi. Alcune arrivano incinte o partoriscono a bordo perché vittime di stupri ancora prima di partire». Situazioni che vanno oltre la cronaca, ma che nella vita di tutti i giorni dimentichiamo. E che sull’isola si toccano con mano.
«Lampedusa è un luogo di ricerca dell’universale, sia dal lato politico e sociale, sia da quello spirituale, perché siamo al centro del Mediterrano e della storia», afferma Sferlazzo. Dove, gli ultimi vent’anni, con l’intentensificarsi del fenomeno degli sbarchi, hanno visto passare da qui migliaia di storie di uomini, che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura degli isolani. «Vivere a Lampedusa significa farsi tante domande, chiedersi il perché di quello che accade». E scoprire che la causa non è poi così lontana da noi. Anche dal punto di vista politico. «I flussi migratori sono strettamente collegati alla politica dei nostri paesi. Siamo noi i primi produttori di migrazione», conclude l’artista. Che forse dovremmo uscire dall’indifferenza ed affrontare gli sbarchi lampedusani per quello che sono: un problema di natura internazionale.
[Foto di SiciliaToday e GiacomoSferlazzoIlFiglioDiAbele]
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