«Lo hanno abbandonato là, senza soldi e vestiti. Natalino gli ha dato denaro, vestiti e quando sono arrivati i soldi Mosè gli ha comprato un completino della Juventus». È il 9 aprile 2019 e le microspie della guardia di finanza registrano un dialogo all’interno di una Bmw X3 che si sposta per le strade di Catania. All’interno della macchina ci sono tre persone: i due presunti trafficanti di droga albanesi Julian Hoxhaj e Indrit Karafili e un giovane catanese di 26 anni. Discutono di affari, forniture di droga e prezzi ma anche di un certo Mosè e di un’amicizia particolare nata tra i corridoi del carcere di Bicocca. Dietro quel nome, nelle carte dell’inchiesta Cocorito, ci sarebbe Moisi Habilaj, il narcotrafficante albanese finito dietro le sbarre a ottobre 2017. Habilaj, condannato in secondo grado a 15 anni di carcere, è il protagonista di una spy story a livello internazionale per la parentela con l’ex ministro dell’Interno albanese Saimir Tahiri. Ma c’è di più perché l’uomo dal 9 gennaio scorso è sparito. Dichiarato ufficialmente latitante dalle forze dell’ordine dopo avere lasciato l’appartamento a San Michele di Ganzaria in cui era sottoposto al regime della detenzione domiciliare.
Al centro della discussione intercettata, secondo gli inquirenti e come riportato nell’ordinanza di custodia cautelare, ci sarebbe l’aiuto che Natalino Nizza (non indagato in questo procedimento, ndr), avrebbe fornito ad Habilaj. E sarebbe stata proprio l’amicizia tra i due a fare da apripista ai viaggi d’affari a Catania di Hoxhaj e Karafili. Nizza oltre a essere il figlio del boss Giovanni, detto banana, è il nipote di Andrea, il 30enne narcotrafficante 30enne – oggi detenuto al 41bis e arrestato dopo due anni di latitanza – capace di scalare i vertici della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola. «Le intercettazioni ambientali – scrivono gli inquirenti – rivelano che Natalino Nizza era interessato a intraprendere uno stabile rapporto d’acquisto di marijuana con gli albanesi, inizialmente quantificato in 30 o 40 chilogrammi, evidentemente destinate al rifornimento delle piazze di spaccio».
«Ho parlato con zio Natalino – spiegava un uomo che si trovava in auto con Hoxhaj e Karafili – e lui mi ha detto “fammi parlare con loro”, perché lui ha tante piazze». L’intermediario, che per gli investigatori avrebbe accompagnato gli albanesi a casa del rampollo dei Nizza, sembra conoscere tanti segreti del business della droga e non solo. Nei dialoghi cita Habilaj anche in riferimento a una visita a Catania «della seconda moglie di Mosè, la poliziotta» e dei presunti rapporti tra il figlio del narcotrafficante (non indagato, ndr) e lo stesso Nizza: «Natalino messaggia con lui». Nella rete dei due uomini albanesi però ci sarebbero stati anche altri clienti. Un primo gruppo, per gli inquirenti, era quello formato da Sebastiano Lombardo, Carmelo Musumeci e Salvatore Litteri, quest’ultimo genero del capomafia Salvatore Cappello. I rapporti sarebbero stati solidi anche con Francesco Condorelli e Concetto Bonaccorsi.
Tuttavia nelle carte dell’inchiesta emergono dissidi e spaccati interessanti su come risolvere i problemi per i mancati pagamenti. «Io il mio lavoro l’ho finito, adesso voglio i miei soldi», diceva Karafili a un uomo albanese durante uno dei tanti viaggi a Catania. Al centro del dialogo ci sarebbe stato un debito di circa 80mila euro per una fornitura di droga. Soldi non ancora versati, secondo la ricostruzione degli inquirenti, da Bonaccorsi e soci. «Tu ci vai e loro ti cercano la scusa e sai cosa ti dicono? “Passa domani”», spiegava invece al trafficante albanese l’intermediario dei Nizza. Così per recuperare il credito si sarebbe deciso di coinvolgere un misterioso uomo, conosciuto come «il cieco». «Soggetto la cui influenza criminale nel panorama catanese – scrivono gli inquirenti – era tale da potere intercedere».
Tra una disputa e l’altra gli affari sarebbero comunque continuati sulla rotta Puglia-Sicilia. Un percorso ormai consolidato per i clan albanesi che importano in Italia enormi quantitativi di droga ma che avrebbero imposto possibili ripensamenti nella mente di Karafili per le troppe perdite dovute ai sequestri da parte delle forze dell’ordine. «Il traffico di marijuana in Albania è illegale da tre anni – spiegava in un dialogo risalente al 2019 – da quando è venuto quel pezzo di merda… fino a tre anni fa era così… 10 per cento lo prendeva lo Stato». Non è chiaro però a chi faccia riferimento l’uomo.
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