Non c’entrerebbe la mafia nell‘agguato del 15 gennaio a San Giovanni La Punta in cui è stato gambizzato Franco Pistone, affiliato al clan Laudani. A sparare sarebbe stato Filadelfio Pappalardo, un pregiudicato per reati in materia di armi, che avrebbe agito per motivi personali legati alla relazione con una donna. Per farlo avrebbe anche superato l’handicap che lo costringe da anni sulla sedia a rotelle, imbottendosi di morfina. E’ la ricostruzione a cui è giunta la polizia di Stato che ha arrestato ieri sera Pappalardo, 43 anni, nella sua abitazione di San Giovanni La Punta. L’uomo, nella notte, avrebbe confessato ed è ora accusato di tentato omicidio aggravato, detenzione, porto illegale di arma clandestina e ricettazione.
I fatti risalgono a sei giorni fa: il 15 gennaio in viale Regione siciliana, nel centro del comune etneo, intorno alle 19 e 30 venivano esplosi quattro colpi da una pistola calibro 7 e 65, che raggiungevano Pistone al braccio e alle gambe. L’agguato ha suscitato molto scalpore e ha fatto scattare l’allarme degli investigatori visto lo spessore criminale della vittima. Pistone era infatti uscito da poco dal carcere, dopo aver scontato una condanna a otto anni per associazione mafiosa. In un primo momento, infatti, era stata caldeggiata la pista di un avvertimento interno allo stesso clan Laudani. Nei giorni scorsi, però, è arrivata la svolta inattesa.
Sabato 17 gennaio la squadra mobile di Catania esegue una perquisizione nell’abitazione di Pappalardo, che si trovava agli arresti domiciliari per reati in materia di armi. Il pregiudicato soffre di una grave patologia che lo costringe sulla sedia a rotelle. Il motivo del controllo della polizia è inizialmente proprio la ricerca di armi e munizioni, che, però, non vengono trovate. Tuttavia l’attenzione degli agenti viene catturata da due sacchi della spazzatura dai quali proviene un forte odore di alcool e che contengono indumenti. Da una più attenta analisi, suffragata dall’aiuto della polizia scientifica, si accerta la presenza di uno scaldacollo nero, un paio di jeans e un cappellino con una scritta bianca. Tutti i capi sono tagliati.
Inoltre sullo smartphone di Pappalardo viene rivenuta una fotografia inviata nel pomeriggio del 15 gennaio, giorno dell’agguato, ad un profilo Whatsapp. Nell’immagine si vede proprio Pappalardo con indosso un giubbotto azzurro chiaro, con la parte superiore più scura. Lo stesso giubbotto che alcuni testimoni hanno raccontato di aver visto indossare all’uomo che ha sparato a Pistone. Di fronte alle domande dei poliziotti, Pappalardo non ha saputo spiegare dove sia quel giubbotto, di cui non c’è traccia nella sua abitazione.
Il passaggio, decisivo secondo gli investigatori, arriva da una telecamera di sorveglianza lungo la strada tra l’abitazione di Pappalardo e il luogo del tentato omicidio. Un tragitto molto breve. Sono le immagini a rivelare la presenza di quello che sembrerebbe proprio il 43enne pregiudicato la sera del 15 gennaio: si vede un individuo dalla corporatura snella, con un giubbotto, un paio di jeans, un cappellino e un paio di scarpe da tennis compatibili con quelle indossate da Pappalardo al momento della perquisizione della squadra mobile. Le riprese mostrano l’uomo percorrere correndo la via in direzione di viale della Regione per poi ritornare, pochi minuti più tardi, con fare meno spedito, in direzione dell’abitazione.
Alla luce del quadro di indizi raccolti, Pappalardo è stato portato nel pomeriggio negli uffici della polizia dove avrebbe confessato. Dichiarazioni rese prima alla mobile e successivamente confermate al pubblico ministero. L’uomo ha spiegato che il motivo del gesto è legato a ragioni di carattere personale, in particolare alla sua relazione con una donna. E che per riuscire ad alzarsi dalla sedia a rotelle avrebbe preso un importante quantitativo di morfina. L’arma, la pistola calibro 7 e 65, è stata recuperata e sottoposta a sequestro. L’uomo è stato quindi rinchiuso nel carcere di Piazza Lanza.
Su di lui e sulle sue difficile condizioni carcerarie nel febbraio del 2010 si era accesa l’attenzione, grazie anche a un’interrogazione parlamentare della segretaria dei radicali Rita Bernardini. Nel documento si sottolineava come la patologia di cui era affetto Pappalardo, una mielopatia progressiva post-traumatica, a cui si accompagnava anche uno stato di depressione, sarebbe potuta se non essere del tutto curata, quantomeno fortemente migliorata, con un adeguato trattamento terapeutico.
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