L’annuncio del 2 giugno con cui il Sovrano di Spagna, re Juan Carlos, ha comunicato alla nazione iberica e al mondo, la sua volontà di abdicare al trono in favore del figlio Felipe (nella foto a sinistra), che regnerà con il nome storico e il numerale VI per la successione tra pochi giorni (la legge che permette l’abdicazione, assente dalla Costituzione spagnola, è stata approvata dal governo Rayoy e sarà operativa dal 19 giugno), è non solo importante per le significazioni interne, ma anche per la valenza internazionale e per il ruolo che il monarca, sul trono dalla morte del Generalissimo Franco che lo designò a succedergli nel 1969, ha avuto nello scenario politico degli ultimi quarant’anni.
E se la stampa italiana non ha saputo, affogata nell’ignoranza dacchè nella nostra Patria la fine della Monarchia ha avuto una storia di menzogne perchè luetica, come ripetiamo da tempo, nasceva 68 anni fa la nostra Repubblica (e certo non fu un caso, i Borboni conoscono la Storia italiana benissimo, che si verificasse l’abdicazione del Re spagnolo nato a Roma nel 1938, il 2 giugno, anniversario del falso e menzognero referendum ove la forma repubblicana, come la storiografia ha ampiamente acclarato, vinse perchè due milioni di voti monarchici furono, nelle segrete stanze del Ministero degli Interni, “spostati” dalla monarchia alla repubblica: non a caso la Suprema Corte di Cassazione si rifiutò di proclamare ufficialmente il nuovo regime, limitandosi a comunicare i dati) cogliere di Juan Carlos che i pettegolezzi da bar, accennando quando l’articolista è meglio informato, al ruolo fondamentale da lui svolto nell’impedire l’involuzione autoritaria con il tentato “golpe” del colonnello Tejero nel 1981 (chi seguì in tv tali giornate, come lo scrivente, rammenta ancora la tensione di quell’anno, che fu il medesimo dell’attentato a Reagan e della scoperta delle liste della P2).
Il Re di Spagna è tuttavia stato un importantissimo ambasciatore della sua Nazione nelle Americhe, visitandole molto più che l’Europa: amico personale di molti leaders sudamericani e centroamericani, compreso Fidel Castro, che si è pure definito “juancarlista” e che dovette sedare le manifestazioni di giubilo al Re in una occasione ufficiale all’Avana. Le recenti vicende personali del Sovrano, le sue cattive condizioni di salute e la ripresa degli ultimi tempi, hanno sicuramente influenzato la decisione di cedere il trono al figlio: ma la ragione principale, forse tra quelle inderogabili, ipotizziamo abbia un solo nome: Catalogna. La nostra impressione è suffragata da informazioni assunte dagli amici catalani, per quanto ancora la situazione non sia realmente e del tutto compresa dalla gran massa della gente.
Chi è stato a Barcellona sa perfettamente quanta passione non tanto e solamente autonomista, quanto spiccatamente indipendentista, animi tutta la nazione catalana, il cui cuore è nella grande città iberica, moderna, progressista, adagiata su un territorio sorridente di campagne ubertose, sorvegliata dall’occhio solenne della Madonna nera di Montserrat. La Catalogna, come è ben noto nel mondo e tra coloro che si appassionano al tema, ha indetto per questo novembre un referendum consultivo, fortemente avversato dal governo di Madrid, per chiedere ai cittadini se intendono ancora rimanere parte dello stato nazionale spagnolo o proclamare autonomamente l’indipendenza da esso. Inoltre, questo 11 di settembre si svolgerà la grande festa per il tricentenario della “diada” indipendentista catalana.
Sia il Presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, che diversi esponenti del mondo laico (compresa gran parte della Massoneria catalana che pure nell’Assemblea Nazionale ha una forte componente), persino taluni esponenti della Chiesa cattolica, potente in Spagna, sono favorevoli se non alla indipendenza de facto, ad una autonomia vera. Cioè, gestione delle imponenti risorse finanziarie che la Catalogna, regione più ricca di tutta la Spagna, ha per imposizione statale “drenate” verso Madrid: lo Statuto autonomista del 2006 infatti (a differenza di quello Siciliano del maggio 1946 ben noto sia a Madrid che a Barcellona e concesso, qui si notino i punti che stiamo per unire, dall’ultimo Re di Casa Savoia, Umberto II: non certo dalla Republica, la quale obtorto collo lo incluse nella Costituzione del 1948 come legge dello Stato) non ha la norma che permette l’autogestione delle tasse, ovvero la scelta di quanta parte di esse debbano rimanere in Catalogna e quante invece essere devolute al governo nazionale
Questo si chiamerebbe federalismo, politico e soprattutto fiscale. Da aggiungersi che il possente movimento trasversale indipendentista catalano, più che maggioritario nella popolazione, non è affatto contrario alla moneta Euro (seppure ultimamente si parla dell’EuroCat, che echeggia la proposta complementare monetaria in Sicilia, detta Grano) nè all’uscita dalla Comunità Europea entro cui invece desidera rimanere, come Stato nazionale perchè dal PIL notevole: non si è invece, e anche ciò non è casuale, posta la questione del Capo dello Stato. Differentemente in Scozia, la quale ha pure chiesto il referendum per l’indipendenza dal Regno Unito, ove il Primo Ministro di Edimburgo, Salmond, che ha specificato essere il loro scopo il controllo delle risorse energetiche e petrolifere del mare del nord, precisò che il Capo dello Stato in una Scozia indipendente rimarrà sempre la Regina Elisabetta e i suoi successori. La Monarchia unisce, la repubblica divide?
Da ciò la mossa abilissima, da consumati strateghi (qualcuno vuole ricordare che la Casa Reale dei Borboni dos Sicilias di Madrid, è la più antica d’Europa, con i Savoia, e discende direttamente dai Re Merovingi? E se aggiungiamo che, in base a talune pubblicazioni sconfinanti nell’esoterico, i Merovingi, “re taumaturghi” -scrisse il grande Marc Bloch in una esimio volume- erano pure discendenti della Maddalena, quindi della famiglia reale di Gesù, Davide e Beniamino…) della Casa Sovrana di Spagna: il quarantaseienne Felipe, Principe delle Asturie, con studi universitari in USA, elegante, bello, perfettamente a conoscenza delle cose di Catalogna di cui parla pure la lingua, con una sposa borghese nota e discreta, già divorziata, la ex collega giornalista Letizia Ortiz Rocasolano ora Principessa e a breve Regina, con un alto indice di gradimento fra la popolazione iberica (quello del padre era di molto calato ultimamente), con due belle bimbe la cui primogenita Leonor nata nel 2005 sarebbe attualmente l’erede al trono, potrà certamente rivitalizzare non solo l’istituzione monarchica in Patria (sono convintamente monarchici sia i popolari che i socialisti in Spagna, ultimamente in parità nelle ultime consultazioni europee): ma anche, secondo noi, estinguere il pericolosissimo, per l’unità nazionale spagnola, focolajo indipendentista catalano.
Solo in un modo: esattamente quello di Sua Maestà Umberto II di Savoia, concedendo (come il nostro sovrano fece il 15 maggio di 68 anni fa: in Sicilia è la Festa dello Statuto, da qualche anno) una Carta costituzionale alla Catalogna, che sia semi-indipendententista, ovvero pienamente federale soprattutto per ciò che concerne l’autonomia delle risorse finanziarie, che devono rimanere in mani catalane. Se “el nuevo Rey de Espana” farà questo, potrà non solo mantenere l’unità dello Stato ma anche entrare a pieno diritto nella Storia moderna come un autentico Sovrano federale, nel solco altresì della Tradizione.
Alternative non ve ne sono, se non cruente: ma non le desidera nessuno, per cui crediamo che la questione catalana si risolva in tal modo. Queste le parole di Felipe il 4 giugno, conferendo un premio ad uno storico cappuccino (la Chiesa farà la sua parte, come sempre): egli ribadisce “l’impegno e la convinzione a dedicare tutte le mie forze con speranza e slancio al compito appassionante di continuare a servire gli spagnoli, la Spagna, una nazione, una comunità sociale e politica unita e diversa…l’esperienza ci insegna che solo rimanendo uniti, anteponendo il bene comune agli interessi particolari e dando impulso all’iniziativa, alla ricerca e alla creatività di ogni persona, potremo avanzare verso uno scenario migliore”. E chi vuole intendere, intenda.
Anche perchè ultimamente sia in Belgio che in Olanda (nazioni dilaniate da conati indipendentisti, sedati da codeste strategie) nuovi sovrani, abdicatari i precedenti, sono ascesi al trono: la Monarchia, filosoficamente parlando, è istituzione “divina” che deve rinnovarsi come tutte le manifestazioni umane, secondo però un solco che è oltre la terrestrità delle cose. Unica, infrangibile, appare nondimeno, emula della grande Regina Vittoria, Elisabetta II di Gran Bretagna, Capo del Commonwhealt, defensor Fidei: la vedemmo in tv nel discorso della Corona del 4 giugno, solenne nella sfavillante corona imperiale, con accanto il Principe Filippo (lucido ultranovantenne), ribadire: “my government… my ministers..”. Seguendo la Regina, per chi è fedele alla Tradizione, la vita, come nell’orazione di Ben, l’eminenza grigia che sceglie Peter Sellers per fare il Presidente, nel film del 1979 “Oltre il giardino”, è uno stato mentale.
Francesco Giordano
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