«La violenza? La bellezza la seppellirà»


“Una ventata di bellezza seppellirà ogni violenza”. È stato questo lo slogan delle donne scese in piazza Mazzini sabato 7 marzo. Una mattinata colorata e allegra, con tanta musica e balli, ma anche contenuti imporanti e spunti di riflessione sulle diverse sfaccettature dell’universo femminile. Varie figure di donne, dalle femministe alle lesbiche, dalle studentesse alle precarie della ricerca, si sono unite per ricordare ancora una volta quanto sia importante parlare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul difficile tema della violenza sulle donne e delle differenze di genere. Erano presenti anche qualche uomo e molti curiosi che, passando di lì, inevitabilmente si soffermavano ad osservare i numerosi banchetti.

Siamo tante donne con percorsi e storie diversi, ma oggi siamo insieme, per sottolineare il fatto che le donne, quando hanno a che fare con la loro identità, ci sono sempre e fanno lega”, dice Grazia Giurato, storica femminista catanese, dietro il banchetto dell’UDI (Unione Donne in Italia).

La mattinata, minacciata dalla pioggia, è stata concepita all’interno del “Pacchetto bellezza”, una serie di iniziative in risposta al “Pacchetto sicurezza” varato dal governo. “Dicono che lo fanno per noi, per difenderci, quando poi è proprio il maschile che non ha rielaborato la propria violenza e il proprio disprezzo per le donne. Il nostro ‘Pacchetto bellezza’ è in riferimento alla competenza delle donne, ai loro meriti”, spiega Anna Di Salvo, altra storica femminista, che ha portato in piazza l’esperienza più che decennale di Città Felice, associazione che “si occupa di ridisegnare la città a partire dal desiderio e dal pensiero delle donne, quindi in una posizione non più minoritaria né supplice, ma di consapevolezza della grandezza femminile”, ci dice la stessa Di Salvo. Un’associazione che, in coordinamento con altre, ha già vinto delle battaglie, come l’aver fermato l’abbattimento di alcuni importanti palazzi storici di Catania.

Forte anche la presenza delle donne lesbiche, non per rivendicare, ma per affermare il loro diritto alla felicità e alla libertà. Per il centro OpenMind c’era anche l’instancabile Sara Crescimone che, riguardo il non riconoscimento dei diritti omosessuali, vuole andare alla radice e dice: “le grandi religioni monoteiste possono essere in disaccordo su tante cose ma, guarda caso, quando si parla di omosessualità sono tutti d’accordissimo. Non è un discorso contro chi crede, ma la fede dev’essere una cosa assolutamente privata: tu puoi credere anche in un lampadario, ma non puoi “lampadarizzare” tutto il mondo! Non abbiamo bisogno che gli altri ci accettino, noi vogliamo essere rispettati, che è diverso: il mondo è così vasto… c’è posto per tutti”.

Abbiamo chiacchierato anche con Alessandra e Daniela, una giovane coppia con un rapporto che dura da cinque anni: accettate in famiglia, sperano di poter andare presto a vivere insieme, magari finita l’università. Le due ragazze fanno parte di un’associazione di recente formazione, Kalon, per promuovere i diritti delle persone omosessuali nella società e sensibilizzare il mondo etero al rispetto per le differenze sessuali. “Ci rivolgiamo anche agli extrcomunitari però, perchè non vogliamo restare chiusi nelle nostre tematiche, ma vogliamo occuparci di diritti civili in genere”, spiega Daniela. “Uno dei nostri obiettivi è quello di andare incontro a tutti i ragazzi che hanno difficoltà ad uscire allo scoperto, ad accettare il proprio orientamento sessuale e a parlarne in famiglia. L’incoraggiamento e il confronto sono essenziali”, aggiunge Alessandra.

Tra le altre scoperte della mattinata c’era anche l’associazione Thamaya, centro che si occupa di donne vittime di violenza intrafamiliare – quindi da parte di mariti, compagni o ex compagni. “Oggi vogliamo fare uscire una voce di autodeterminazione, sfatando il luogo comune che gli artefici delle violenze siano per lo più sconosciuti. È il nostro modo di esserci, al femminile, per poter gridare basta”, ci dice Marika, una delle volontarie del centro.

Altra presenza importante è stata quella dell’associazione Rita Atria, che prende il nome da una giovane donna che ha rotto con un sistema, quello mafioso, “che non è solo maschile, ma gode del sostegno della parte femminile della società, che permette che venga continuato un modo d’esistenza basato sull’accondiscendenza, sul proseguimento di rituali antropologici, senza spazi di trasformazione”, spiega la professoressa Vincenza Scuderi.

Ed infine le precarie della ricerca, in rappresentanza di tutto il Coordinamento dei Precari, che ha aderito all’iniziativa. “Dato che, quando si parla di precari, nessuno sa bene cosa siano, abbiamo deciso di esporre delle foto con le nostre facce. Lo slogan è: ‘Sono io la ricerca, giù le mani da me’, per protestare anche contro ogni tipo di violenza sulle donne”. Chiara Rizzica ci mostra le bellissime foto in bianco in nero che ritraggono varie donne del Coordinamento, e anche quale maschietto. Importante la loro presenza, per ricordare anche quanto la differenza di genere possa ancora incidere sul lavoro. Dati alla mano, la Rizzica ci dice: “Nell’ateneo di Catania le maggiori differenze sono quelle degli specialzzandi medici, 370 uomini e 500 donne: quelle più precarie, cioè coi contratti a tempo più breve, sono le donne. Vivere così, ovviamente, non ti permette neanche il progetto di una famiglia o comunque di una dimensione diversa di vita quotidiana”.

E quando il sole finalmente si è deciso a spuntare, inzia un gioco molto speciale: diciotto donne, ognuna con un bigliettino in mano con su scritto un ruolo, la vita immaginaria di un’altra donna in cui devono immedesimarsi. Un biglietto scelto per caso, così come il caso assegna spesso le sorti. Si susseguono una serie di domande, su cosa queste donne immaginarie possano fare o non fare: “Posso rivolgermi all’assistenza sanitaria locale? Posso baciare il mio partner in pubblico?”. Un passo avanti se si può, si sta ferme se non si può. Finite le domande, qualcuna è rimasta sul fondo, qualcuna a metà strada, due sono arrivate davanti: erano capitati loro il ruolo di una ricchissima pornostar che vuole cambiare vita e quello di una femminista attiva nel sociale. Andando a ritroso, invece, storie di donne con lavori precari, stipendi miseri e differenze di religione e preferenze sessuali. Un modo per spiegare, giocando, com’è possibile che nella vita c’è chi è in testa e chi resta indietro.

Ma una buona notizia c’è, e ce la comunica Grazia Giurato: “Oggi abbiamo l’attenzione di alcuni gruppi che, a livello nazionale, si stanno organizzando: penso all’associazione maschile Plurale, che si riunirà a Pinerolo per riflettere sul tema della violenza sulle donne, mettendo in evidenza un discorso di responsabilità. Sono gli uomini gli artefici della violenza, e stanno iniziando ad interrogarsi, a chiedere perdono. Anche a Catania alcuni gruppi maschili si stanno organizzando, e questo è un segnale positivo”.

Benedetta Motta

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