La valigia dei terroni, psicanalisi del rientro al Nord Parmigiano e arancini contro rabbia e nostalgia

«Il mare, il mare… avissa siccari ‘stu mari…». Vacanze di Natale 2013, Giorgio si era già trasferito a Milano, né io né lui sospettavamo che a settembre 2015 ci saremmo ritrovati entrambi a Torino. Prendevamo il sole su una panchina di piazza Europa ed io provavo a convincermi che «però qui c’è il mare». Le tipiche cose che pensi in Sicilia quando le giornate sorgono e tramontano fra invii di curricula e liste di motivi per restare.

Che qui ci sia quella distesa di acqua salata che sulla carta si chiama Mediterraneo, ma per noi è IL mare, sembra essere il pensiero ricorrente della popolazione emigrata d’età compresa fra i 25 e i 40 anni: le statistiche dicono più o meno il 25 per cento dei 730mila che hanno ufficialmente lasciato la Sicilia. Ma la mia rubrica telefonica e l’opzione di Messenger Amici nelle vicinanze, ogni volta che ritorno, denunciano che le statistiche sono ottimiste come gli specchi snellenti. L’isola pare, quindi, a rischio desertificazione anche nel senso che sempre più spesso si riduce a terra buona per farsi le vacanze, persino per chi c’è nato.

E il mare si piazza indiscutibilmente al primo posto nelle priorità delle vacanze terrone in Sicilia, anche se le ferie sono a ottobre: recenti studi dimostrano che il riscaldamento globale aiuta a recuperare le estati perdute. Come quella di Marina, 33 anni, plurilaureata, espatriata a Berlino in 48 ore, grazie a un annuncio di lavoro su un gruppo facebook: interview su skype e contratto a tempo indeterminato, dopo tre anni di disoccupazione e batoste in Sicilia. «In questi giorni sto cercando di fare il pieno di bagni e nuotate – racconta Marina -. Gli imperativi sono mare, pesce e granite finché non ho la nausea. Gli amici ormai sono tutti altrove: quindi, anche se fossi rimasta, li avrei avuti lontani comunque».

Le fa eco Chiara, ventisettenne, parigina da cinque anni, che al mercato di Barbès ha ritrovato lo stesso baccano e lo stesso «aneuro’ aneuro’ aneuro’» della fera o’ luni catanese: «Ovviamente a Parigi mi manca la famiglia, ma tranne pochi amici, quasi tutti sono andati via dalla Sicilia: ci rivediamo durante le feste». Un’elasticità esistenziale non limitata alla nostra regione, che Chiara e altri giovani italiani hanno deciso di studiare in una rubrica intitolata Solo andata . «Mi mancano tantissimo il pesce fresco e il sole estivo – continua -, il barocco, il Nero d’avola e tanti dolci che ho cominciato ad adorare solo quando sono partita: come i cannoli e le cassate».

Il cibo è, insieme al mare, il chiodo fisso della lontananza, il miraggio attorno a cui si strutturano i rituali del ritorno all’ovile terrone. Al punto che, per molti, ogni ritorno assume i connotati del tour de force gastronomico. Massimiliano, trentenne, dimagrito a Londra nel 2013, è la testimonianza vivente che, a causa della nostalgia, si possono concentrare in meno di 100 metri (in ordine:) un seltz al limone, una granita con brioche e un frappè alla nutella. «A Londra – racconta – il bidet mi manca sempre meno e sublimo le altre mancanze mettendo parmigiano ovunque: sulla pasta, nel caffè, sul parmigiano stesso». Le sue vacanze a casa sono assillate da una preoccupazione: «Calcolare con esattezza e largo anticipo lo spazio destinato al cibo nel bagaglio di ritorno».

«Mangiate e amici, amici e mangiate», anche nelle vacanze di Seby, a Dublino dal 2014 dopo una vita a Firenze: quindi nella costante privazione di «tavola calda, pezzi di colazione e polpette di cavallo». «Arancine e cipolline, cipolline e arancini» nei desideri di Giuseppe, docente in Toscana da diversi anni. Ripetizione e concitazione pure nelle parole di Silva, anche lei a Berlino: «Pesce pesce e pesce quando sono giù, e l’abitudine di friggere le melenzane per norma e parmigiana quando sono in Germania».

I sentimenti terroni, infine, riempiono un bagaglio che supera il peso consentito e appesantisce la sindrome da rientro dalle vacanze. Il primo è la rabbia. «Per quello che questa terra avrebbe potuto essere», dice Massimiliano, che ogni volta non vede l’ora di ritornare a Londra per vantare tutti i perché della sua nostalgia. Rabbia «per quello che la Sicilia avrebbe potuto darmi, quando non mi ha dato niente», sottolinea Riccardo, che la sua vita la sta costruendo a Berlino. Per Giuseppe è la rabbia di dover abbandonare «le tartarughe marine che depongono le uova su una spiaggia della mia riserva naturale preferita», perché il ministero dell’Istruzione nega «il diritto di scegliere di lavorare e campare nella mia terra». Rabbia nei confronti della «mentalità che ti porti dietro» per Chiara: «A Londra mi vanto del nostro stile di vita rilassato, del fatto che il pranzo dura un’ora e senza caffè o amaro non è finito. – dice – Poi mi chiedo: “vuoi vedere che è proprio questo il problema?”. Il mondo corre, e noi ci godiamo il sole».

A Milano per Marilù e a Dublino per Seby è il senso di colpa nei confronti dei genitori che invecchiano, «la preoccupazione che un giorno rimpiangerò di non aver trascorso abbastanza tempo con loro». Però c’è chi, come Filippo, ritorna in pianta stabile dopo dieci anni fra Milano e la Svizzera: «Ogni volta che risalivo dopo le vacanze – racconta – più che rabbia, provavo una nostalgia atavica. Mi sentivo una specie di Ulisse contemporaneo: da un lato avevo voglia di tornare in Sicilia, dall’altra c’erano delle forze insondabili che mi trattenevano a Milano». Una tensione che ammette di vivere tuttora.

Barbara Distefano

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