Epifanio Agate e la moglie Rachele Francaviglia non si sarebbero fermati di fronte al decreto del tribunale di Trapani che disponeva il sequestro di tutti i beni, tra cui anche l’impresa individuale Glocal Sea Fresh e società My Land srl in liquidazione. Il primo è finito in carcere (con l’aggravante di avere commesso il fatto per agevolare Cosa nostra), mentre la donna ai domiciliari insieme all’amministratore giudiziario palermitano Maurizio Lipani, accusato di peculato e autoriciclaggio per essersi appropriato delle somme di denaro (circa 350mila euro) provenienti dalle due aziende ittiche sottratte al boss trapanese Mariano Agate.
Proprio oggi Lipani ha confessato di essersi appropriato dei soldi delle società che gestiva come amministratore giudiziario. Durante l’interrogatorio di garanzia davanti al si è mostrato provato e ha sostenuto di averlo fatto in un momento di difficoltà economiche dovuto alle lungaggini nelle liquidazioni delle parcelle di cui era creditore.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Agate e Francaviglia, dopo il sequestro del maggio del 2018, avrebbero continuato a gestire le attività imprenditoriali «sollecitando i pagamenti dei crediti vantati verso i clienti, incassando assegni, riscuotendo crediti, effettuando e ricevendo forniture di merci, utilizzando come deposito i locali (in via Ugdulena a Mazara del Vallo, ndr) che non erano mai entrati nella disponibilità dell’amministratore giudiziario». Insomma, come se nulla fosse cambiato.
Oltre ai controlli bancari, fondamentali sono state le dichiarazioni dei clienti che hanno raccontato di essere stati sollecitati a fare fronte ai debiti o a concludere nuovi contratti di fornitura. C’è il titolare di una ditta che dichiara di non avere avuto «mai contatti con la Glocal in quanto ho trattato sempre direttamente con Epi (diminutivo per Epifanio, ndr) per le forniture di pesce». Da alcune intercettazioni, infatti, sarebbe emerso l’interesse dell’associazione mafiosa a mantenere il controllo del mercato del pesce attraverso Agate.
Telefonate e messaggi su Whatsapp con cui Francaviglia, che nella gestione delle ditte avrebbe avuto «un ruolo di primo piano», propone anche modalità di pagamento agili e convenienti, (ma mai concedendo di pagare una cifra inferiore rispetto al dovuto) e concordando informalmente un piano di rientro. In un’occasione, di fronte alle difficoltà di onorare il debito da parte di una cliente, la moglie di Agate le manda un messaggio: «Capisco il problema che lei ha ma, come le ho già detto, magari potrebbe programmare dei piccoli pagamenti settimanali in modo da muovere comunque qualcosa». Nel raccontare agli investigatori delle pressanti sollecitazioni ricevute, la titolare dell’azienda non nasconde il timore e la preoccupazione «anche in ragione dello spessore criminale dei coniugi».
Epifanio Agate è, infatti, il figlio di Mariano detto il papetto. Uno dei più pericolosi boss mafiosi siciliani, condannato per traffico illecito di stupefacenti, per associazione mafiosa e per diversi omicidi, alcuni dei quali eccellenti tra cui la strage di Capaci. Sarebbe stato Mariano a prodigarsi per garantire la latitanza di Totò Riina nel Trapanese fornendogli supporto logistico e documenti d’identità falsi. Arrestato nel 1990, il boss mazarese è stato scarcerato nel 2013 per gravi problemi di salute ed è morto nell’aprile del 2017. Inoltre, lo stesso Epifanio è già stato arrestato nel 2016 nell’ambito dell’operazione Ermes 2, che ha smantellato la rete di comunicazioni usata dal latitante Matteo Messina Denaro. Sette mesi dopo, Agate junior era tornato in carcere proprio per questioni legate alla società My Land.
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