Alessandro Marcucci, ex ufficiale dell’aeronautica militare italiana è morto il 2 febbraio del 1992. Era in missione per avvistamento incendi, insieme a Silvio Lorenzini, quando il velivolo si è schiantato nel territorio del Comune di Carrara. Lorenzini, avvistatore, morì un mese dopo per le ustioni riportate. La procura di Massa aprì un’inchiesta che fu archiviata. Il pm di allora si convinse che si trattò di un incidente dovuto al mancato rispetto delle quote minime di sicurezza. Per capire l’interesse attorno a questa morte, va ricordato chi era Alessandro Marcucci e perché il suo nome è legato alla strage di Ustica. Fu lui, insieme al capitano Mario Ciancarella a raccogliere la denuncia telefonica del maresciallo Mario Alberto Dettori, radarista la notte del 27 giugno del 1980, quando l’aereo DC9 Italia, diretto a Palermo, esplose e s’inabissò in mare con 81 morti. Dettori, trovato impiccato nel 1987, consegnò al capitano Ciancarella la sua verità: «Siamo stati noi a tirarlo giù». Da quel momento Ciancarella e Marcucci iniziarono una serie di verifiche che portarono Marcucci a sostenere una tesi precisa: diceva di avere le prove che il Mig, l’aereo militare libico, ritrovato sulle montagne della Sila il 18 luglio del 1980 non fosse partito dalla Libia, ma dall’Italia, in particolare dall’aeroporto Pratica di Mare. In quel presunto incidente fu rinvenuto il corpo del pilota senza vita, ma nel cosciale fu trovata la dichiarazione di abbattimento del DC9. Circostanza che viene giudicata oggi da alcuni un depistaggio. Ma Marcucci non fece in tempo a spiegare quali fossero le prove che diceva di aver trovato.
Nel settembre del 2012, vent’anni dopo la sua morte, l’indagine fu riaperta a seguito di un esposto presentato dell’associazione antimafie Rita Atria, creata da alcuni amici di Marcucci, attraverso il suo legale, l’avvocato catanese Goffredo D’Antona. Nel documento si avanzavano dubbi sulle dinamiche dell’incidente e si portavano nuovi elementi valutati importanti dalla stessa Procura. Oggi, a distanza di due anni, i pubblici ministeri hanno chiesto l’archiviazione, non perché non ritengano utili ulteriori approfondimenti, ma perché i tempi concessi sono scaduti. Secondo la Procura però sarebbe necessaria un’ispezione sui luoghi dove l’aereo precipitò. Può sembrare paradossale, ma in 23 anni, nessuno ha pensato di andare a vedere di persona. Gli unici a farlo sono stati i consulenti della famiglia Lorenzini che hanno depositato gli esiti dell’ispezione a novembre del 2014. A distanza di tanti anni, trovarono materiale che la Procura di Massa ha valutato di rilievo.
I pubblici ministeri, dopo aver riaperto le indagini, affidarono una perizia sui corpi di Marcucci e Lorenzini a due importanti docenti, Costantino Cialella e Francesco Saverio Romolo. Il compito era effettuare un’autopsia sui resti delle vittime, anche con precise analisi di carattere chimico, per capire se vi fossero tracce di materiale esplosivo. Nelle ossa di Marcucci sono stati trovati viti e piccoli frammenti metallici. Secondo i periti sono il risultato dell’adesione al corpo durante l’incendio. Conclusione che lascia qualche dubbio agli stessi pubblici ministeri. «Il lavoro dei consulenti della Procura – sottolinea oggi l’associazione Rita Atria – pur confermando l’ipotesi dell’incidente, non ha fugato i dubbi e le perplessità evidenziate sin dall‘inizio della riapertura delle indagini, ed è apparso lacunoso e privo di fondamento scientifico. Interrogativi evidenziati dalla stessa Procura, la quale ha rappresentato l’assoluta necessità di nuove e specifiche indagini, anche alla luce delle consulenze di parte depositate dall’associazione. Indagini – aggiunge – allo stato impossibili da espletare, stante la scadenza dei termini processuali»
Tra qualche giorno, il 2 luglio, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Massa dovrà esprimersi sull’opposizione all’archiviazione presentata dall’associazione antimafie. Sarebbe una finestra ancora aperta sulla ricerca della verità.
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