Ho sempre avuto la fortuna di viaggiare, la professione di mio padre è la ragione di tale fortuna, e l’ho già detto tante volte in precedenti articoli, qualora li ricordaste. Da bambino ho girato quasi tutta l’Europa in pullman e rimanevo meravigliato da tutti questi monumenti, piazze Rosse, grattacieli, torri Eiffel, ruote panoramiche, Colossei, Big Bens, San Pietri, Nos Dames, Muri di Berlino, Santiaghi Bernabeu, poi anche in America con le Twin Towers, i ponti di Brooklin, i grandi laghi, i Grand Canyons, le muraglie Cinesi, forse sto esagerando… ho girato tanto e in questi posti  trovavo queste enormi, gigantesche, meravigliose, grandiose, immensità monumentali. Tornavo a casa e mi consolavo con la visione dei ponti che portavano da Ragusa a Modica, tra i più grandi d’Europa, uno già fatto, l’altro in perenne costruzione. Ma erano poca cosa, poi sui ponti ci passavi sopra, ed erano grigi, e non mi bastavano. Fatto sta che mi è rimasto per molto tempo questo sentimento della mancanza, questa oppressione del piccolo, del dammuso e del curtigghiu facenti parte del nostro patrimonio quasi genetico più che architettonico. Quanto mi sarebbe piaciuto un enorme grattacielo nel centro di Ragusa, tutto specchi, e magari averci una casa all’ultimo piano da cui dominare tutta la Sicilia!

Ero un bambino, e infatti sognavo di potere diventare superman, o quanto meno un calciatore che nel tempo libero facesse l’agente segreto. Negli anni sono cresciuto, anche fisicamente (non tantissimo, normale, altezza media), e continuo a meravigliarmi dei posti che visito, delle grandezze del mondo, delle immensità e delle enormità proprie di alcuni luoghi. A Dublino hanno costruito un enorme palo di acciaio, “l’Ago” lo chiamano, e tutti passano di lì a chiedersi cosa mai voglia rappresentare. Poi torno in Sicilia, faccio quell’interminabile strada dall’aeroporto di Catania a Ragusa, più lunga di qualsiasi viaggio in pullman della mia infanzia, e scopro casa mia.

È da qualche anno che la mia terra mi si svela lentamente e inesorabilmente, si denuda seducente ad ogni chilometro, mi occhieggia rapida da dietro le curve delle nostre lentissime strade. Perchè le nostre strade sono contorte, ma dietro ogni contorsione qualcosa ti può sorprendere, e questo l’ho scoperto da quando vivo in una pianura padana sempre uguale, strade dritte e soporifere. Poi arrivo e passeggio per le strade di Ibla, quelle strade che da poco tempo hanno ritrovato l’antico basolato, quei palazzi dai colori discutibili, ma chi se ne frega, mi piace.

A qualcuno, per accorgersi di tutto ciò non gli è bastato crescere, ha dovuto aspettare il riconoscimento dell’UNESCO e soprattutto che un commissario televisivo si facesse il bagno nelle nostre acque, perchè è dall’esterno che si attende legittimazione.

Ma io ho incominciato ad amare la mia terra, quando ho cominciato ad amare di tutte le altre terre non soltanto gli aspetti troppo eclatanti per non essere notati, ma le piccolezze di grande spessore: i passages parigini, i prati di Dublino, il rumore della Moldova, lo sguardo delle persone, l’altro e il diverso, non il migliore ma il Differente. E nel cercare il differente l’ho trovato anche in me, nella mia terra, nella mia casa.

Ora, improvvisamente, a 32 anni, il mio mondo cittadino sembra congiurare contro questa mia nuova presa di coscienza. Torno per le vacanze e trovo un centrone commerciale, un paio di iper mercati, e qualcun altro in preparazione, un ventolone immane , unico esemplare di un parco eolico mancato, albero solitario simbolo di futuro già passato. E prima di ripartire, leggo che qualcuno vuole realizzare il sogno smarrito della mia infanzia, quello  che non avrei mai potuto immaginare: in cima ad un nostro colle un’enorme statua di 30 metri del Cristo Liberatore, novella Rio de Janeiro in salsa iblea.

La tradizione religiosa parla di un Dio onnipresente, ma il concetto è molto spirituale, e la realizzazione di un così grande promemoria, non giova affatto all’elevazione morale, solo getterà una sovrumana ombra su tutti noi, sulla nostra capacità di giudicare bene, sulla nostra miseria morale, spirituale, materiale. Una statua alta come un palazzo di 10 piani, costosa come un palazzo di dieci piani, che dovrebbe simbolizzare l’accoglienza, la fratellanza, l’amore verso il prossimo. E magari questo prossimo, nella speranza che in quanto prossimo venga dopo, il più tardi possibile, verrà a chiederci conto e ragione di questo nostro enorme amore, così ben simbolizzato, ed ecco che invece ci tornerà utile il nostro buon vecchio piccolo, il genetico patrimonio di cui disponiamo.

E i nostri piccoli dammusi umidi, diventeranno così cari che per affittarli dovranno rinchiudersi in 15 in due stanze, il nostro spazio vitale così piccolo, che è meglio che se ne stiano alla larga, i nostri cuori così piccini, da negargli anche il beneficio di ristorarsi all’ombra dell’enorme scempio di quella perfetta blasfemia.

Gente di fede, dotata, bontà vostra, di innumerevoli fondi, ma è davvero credibile che tutto il vostro immenso amore, che si sa è spirituale (la canzone diceva “Love is in the air…”), debba assumere cosiffatte dimensioni materiali?

È vero, un papa la pensava esattamente come voi e per uno smisurato senso della grandezza, decise che si poteva vendere il perdono, ed ebbe la coerenza di dichiararlo apertamente. Ora voi con i fondi delle vostre donazioni cosa pensate di ottenere? Penso abbiate presenti le conseguenze di quella famosa svendita, e penso che ne soffriate ancora tanto.

La nostra città è considerata monumento dell’umanità indipendentemente dalla grandiosità della vostra statua, i cattolici veramente credenti non avranno bisogno di una tale manifestazione della grandezza di Dio per rimanere costanti nella fede, i cattolici più lontani vedranno in essa un’inutile ostentazione che li allontanerà di più, chi non è cattolico e soprattutto chi non è cristiano vedrà in essa un intento denigratorio. Un enorme monito contro la loro infedeltà. Se proprio vi avanzano ‘sti soldi, e se proprio vi avanza del cemento (non che ciò mi entusiasmi), costruite qualcosa che serva e metteteci dentro delle persone libere  o, se volete, rese libere, magari da un Cristo che agisce indipendentemente dalle vostre piccole volontà, magari illuminate da un amore che non ha bisogno di nessuna ostentazione.

Gianni Raniolo

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