La Sicilia ‘pensata’ di Rino Nicolosi

Settant’anni fa, il 28 luglio del 1942, nasceva ad Acireale Rino Nicolosi, da molti riconosciuto come il presidente della Regione che, meglio di tanti altri, aveva intuito quale fosse la via che avrebbe condotto la Sicilia a disincagliarsi dai mali storici che per secoli ne avevano bloccato lo sviluppo. La sua è stata una vita breve, appena 54 anni, ma intensa perché segnata da quella febbrile voglia di fare che si leggeva tutta negli “occhi di vetro”, così li definì Amindore Ambrosetti, del suo lucido sguardo.

Rino dava, infatti l’impressione dell’uomo freddo, del politico-tecnocrate freddo e, perfino, scostante mentre in realtà era uomo di grande umanità, sempre attento ai bisogni della gente, soprattutto se si trattava dei più deboli. D’altra parte, non poteva essere altrimenti per un cristiano che credeva profondamente e che considerava gli affetti familiari perfino più importanti delle pur forti ambizioni personali. (a sinistra, fto di Rino Nicolosi tratta da parcodeinebrodi.blogspot.com)

“Un siciliano aperto e curioso…cittadino del mondo”. Così ne parla Antonio Calabrò, cogliendo la positiva diversità della cultura dell’uomo, un siciliano capace di rivendicare la propria identità senza cadere nella trappola di un “sicilianismo” che è intreccio perverso tra arrogante senso di superiorità e inconcludente vittimismo rivendicazionista. Un uomo, diremmo con Sciascia di “tenace concetto”, che al “pianto antico” per la perdita, quella una identità nazionale che non c’è mai stata se non per i ceti abbienti che ne avevano fatto strumento ideologico di sfruttamento delle plebi, sostituiva il “fare”, il peccato che, come il Lampedusa affermava, i Siciliani non perdonano mai.

Nei sei anni che abitò palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana, anni difficili che avrebbero visto il tramonto drammatico della cosiddetta prima Repubblica, Nicolosi rivitalizzò infatti l’Autonomia schiodandola dalla concezione burocratica-istituzionale cui ancor oggi la vogliono inchiodare le elite presenti e quanti vaneggiano di Statuto non attuato come causa del degrado siciliano.

All’Autonomia Nicolosi invece assegnava una funzione strumentale che è poi quanto auspicano i tanti siciliani che si vedono negato, oggi più di ieri, il futuro. E la rincorsa del “nuovo”come opportunità praticabile anche in una terra come la nostra non sempre allo stesso attenta, che Nicolosi s’intestò, come missione di governo, un nuovo fatto di scelte concrete ma anche di rapporti e relazioni concreti. Un nuovo per il quale guardava ai centri di produzione del sapere, alle Università, al Cnr, con i quali realizzò accordi perché la Sicilia potesse divenire luogo dell’innovazione tecnologica.

Era convinto infatti che puntare sulla ricerca sarebbe stata la carta giusta da spendere per soddisfare quella mai appagata domanda di lavoro che atavicamente tormenta le nostre genti. Ma pensando a questo, Nicolosi non si riferiva alla semplice occupazione, ma al lavoro “produttivo”, capace di offrire alla Sicilia valore aggiunto e di dare dignità agli stessi lavoratori. Un indirizzo, dunque, assolutamente distante rispetto alle politiche occupazionali che avrebbero portato la Sicilia ad offrire lo spettacolo indegno di decine e decine di migliaia di precari selezionati secondo il peggior metodo clientelare che si possa immaginare che, oggi, intasano le pubbliche amministrazioni regionali e locali.

Un nuovo che si esprimesse anche nella costruzione di luoghi di alta formazione per offrire, non solo all’Isola, quei quadri manageriali necessari allo sviluppo. L’idea di una scuola di alta formazione, che si sarebbe tradotta nella istituzione del Ce.ri.s.di. , per formare risorse per la Sicilia ma anche per la gente del Mediterraneo, rispondeva proprio a questo obiettivo.

Era, inoltre, forte in lui l’interesse verso i giovani talenti la cui fuga dall’Isola, a suo dire, non poteva che impoverire una terra già di per se povera. Innovazione e modernizzazione, dunque, per dare una spinta competitiva alla agricoltura regionale, per stimolare un’industrializzazione non assistenzialistica qual era stata fino ad allora quella siciliana, per abbattere i costi dell’intermediazione parassitaria. E, partendo da questo progetto, l’impegno ad aprire la Sicilia al mondo per rompere con il provincialismo rancoroso nel quale l’avevano cacciata secoli di storia.

Con Nicolosi, riprendendo un’iniziativa di Angelo Bonfiglio, un altro grande presidente della Regione purtroppo dimenticato, la Sicilia si ritagliava un ruolo mediterraneo. Rino, aveva infatti capito, molto prima di altri, che pur tenendo come riferimento l’Europa, era sul Mediterraneo che la Sicilia poteva e doveva giocare un ruolo di primo piano. E nei colloqui che ebbe con l’equivoco rais libico, che nonostante l’embargo, andò a trovare a Tripoli per trattare la liberazione di pescatori siciliani, ebbe la soddisfazione di vedersi riconosciuto un ruolo di protagonista della politica mediterranea, la Sicilia poteva essere il ponte fra occidente e paesi della sponda sud.

Fatti significativi e importanti che danno contezza di una eccezionale personalità, con grandi capacità anche di fronte ad un parlamento regionale, presieduto da un personaggio di primo piano come Salvatore Lauricella, che, piuttosto che agevolare il percorso di governo, lo ostacolava platealmente al punto da costringerlo a costruire quello che fu definito “governo parallelo”. (a destra, un’immagine di Gheddafi tratta da milocca.wordpress.com)

La parabola di Nicolosi si chiude quando viene coinvolto, direttamente ed in modo pesante, nella tangentopoli siciliana, una vicenda che ha avuto come protagonisti esponenti dei partiti di governo come di opposizione. Un momento triste anche perché coincide con l’insorgere di quel male incurabile che l’avrebbe portato alla tomba. Ma, anche in quell’occasione, egli offre uno spettacolo di dignità non sottraendosi, come invece ebbero a fare molti suoi colleghi, alle proprie responsabilità e sostenendo, orgogliosamente, nel suo memoriale testamento, che la sua azione pur colpevole, era diretta ad “allentare pressioni e condizionamenti” forti “sia della politica sia della mafia sugli appalti pubblici.

 

Pasquale Hamel

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