La Sicilia da oltre 60 anni nelle mani degli ‘ascari’ e dello Stato centrale

Cominciamo da oggi, grazie al suggerimento di un nostro amico e sostenitore del nostro giornale, un ‘viaggio’ attorno allo Statuto autonomistico della Sicilia. Un itinerario che ci porterà a verificare quanto è conosciuto il nostro Statuto, quali sono le parti applicate e, soprattutto, quali sono le parti non applicate a causa di uno Stato centrale miope e di una classe politica siciliana di ‘ascari’ e di venduti. Condizioni che, da quasi 70 anni, mortificano la nostra Autonomia.

Abbiamo deciso di iniziare il nostro ‘viaggio’ anche grazie al grande fermento politico e culturale che si è acceso nella nostra Isola con gli atti politici annunciati dal presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta. Abolizione delle Province, possibile adozione dei Trinacria bond e, soprattutto, applicazione dell’articolo 37 del nostro Statuto: bastano questi tre argomenti per affermare che stiamo vivendo, nella nostra Isola, un periodo di grandi rivolgimenti politici. Fatti e impegni che, se vedranno la luce, sono destinati a imprimere una svolta positiva nella vita politica, economica, sociale e culturale della Sicilia.

Il primo dato che salta agli occhi è che, ancora oggi, nelle suole siciliane, dell’Autonomia della nostra Isola si parla poco o nulla. Si parla, invece – e tanto – della falsa storia del Risorgimento italiano, mitizzando un periodo che, nel Sud, e soprattutto in Sicilia, è stato contrassegnato da luci (poche) e ombre (tante).

Fatta salva la buona fede dei siciliani che credevano nell’Unità d’Italia, il Risorgimento, in Sicilia, è stato un disastro. E una truffa. Solo in un Paese come l’Italia un personaggio come Garibaldi può essere dipinto come un eroe senza macchia. Invece, di macchie, Garibaldi ne aveva tante, come ha opportunamente scritto il nostro Ignazio Coppola negli articoli che troverete cercandoli sul nostro giornale.

Il Risorgimento, in Sicilia, ha creato solo problemi che, con il passare dei decenni, si sono incancreniti. A cominciare dal furto dei soldi del Banco di Sicilia, attuato proprio da Garibaldi per conto di Casa Savoia. Che, anche con i soldi della Sicilia, si pagò il costo dell’unificazione italiana attuata sotto il proprio dominio (Vicenda che si è ripetuta negli anni ’90, quando con l’avallo di una politica in parte impaurita e in parte ‘ascara’ – con la connivenza di sindacalisti da quattro soldi – il Bando di Sicilia è stato questa volta ceduto per intero a banche del Centro Nord Italia che erano combinate peggio dello stesso Banco di Sicilia).

L’Unità d’Italia – tornando al 1860 – è stata una presa in giro. Avevano promesso la libertà. E invece hanno reso la Sicilia schiava dei piemontesi. Che, per fare rispettare le loro schifosissime leggi – come il servizio di leva imposto con la forza ai giovani siciliani dell’epoca, sei a sette anni rubati dai delinquenti piemontesi! – mandavano in Sicilia i propri generali a scannare la nostra gente.

In tutto il Sud le truppe dei Savoia, per lunghi decenni, si comportarono alla stessa stregua dei nazisti, presidiando, distruggendo, deportando e scannando un numero impressionante di meridionali. La differenza è che degli orrori del nazismo sono pieni i libri di storia, mentre degli eccidi perpetrati da casa Savoia nel Mezzogiorno d’Italia non si parla. Tutto nascosto. Una vergogna.

Un altro periodo contrassegnato dalla presenza di un’organizzatissima associazione a delinquere contro il Sud Italia è il cosiddetto giolittismo. Sono gli anni del “decollo industriale” del Nord Italia. Che significò una totale sottomissione del Sud ai voleri di Giovanni Giolitti, l’uomo politico che ha profondamente segnato – secondo noi in negativo – i primi 15 anni della storia d’Italia del ‘900.

Giolitti governerà il Sud con i suoi Prefetti, all’insegna della sistematica corruzione, anche in combutta con le varie organizzazioni criminali presenti nel Meridione, a cominciare dalla mafia siciliana.

Che la gestione del Sud d’Italia, da parte di Giolitti, sia stata eminentemente criminale non lo diciamo solo noi: lo racconta in un libro bellissimo – che dovrebbe essere letto e studiato in tutte le scuole del Sud – uno dei più grandi meridionalisti del ‘900: Gaetano Salvemini. Il titolo del libro è emblematico: “Il Ministro della malavita”. Dove il Ministro è proprio Giovanni Giolitti.

Questa premessa è necessaria per avviare il nostro ‘viaggio’ attorno allo Statuto siciliano. Perché i Padri dell’Autonomia siciliana, quando vennero chiamati ad elaborare il progetto di Statuto, subito dopo il secondo conflitto mondiale, si ricordavano perfettamente degli eccidi perpetrati da casa Savoia in Sicilia nei decenni subito successivi alla ‘presunta’ unificazione italiana. E si ricordavano anche dei metodi criminali utilizzati in Sicilia e, in generale, in tutto il Sud da Giolitti e dai suoi banditeschi Prefetti.

Come vedremo quando affronteremo il tema dell’articolo 15 del nostro Statuto – argomento di grande attualità che è stato rispolverato dall’attuale presidente della Regione, Rosario Crocetta, che proprio in forza di questo articolo dello Statuto, con il concorso del Parlamento siciliano, si ripropone, finalmente, di abolire le Province – i Padri dell’Autonomia, quando lo elaborarono, pensavano proprio ai Prefetti di Giolitti. E infatti l’applicazione dell’articolo 15 dello Statuto postula l’abolizione delle Province, da sostituire con liberi consorzi di Comuni, facendo venire meno la figura dei Prefetti.

Insomma, non si comprende appieno il valore del nostro Statuto, entrato in vigore nel 1946, un anno e mezzo prima della Costituzione italiana, se non si hanno chiari gli eccidi pre-nazisti e gli atti delinquenziali perpetrati dai generali di casa Savoia nei decenni successivi all’unificazione (che per l Sud fu, di fatto, una colonizzazione da parte di uno Stato criminale) e, poi, la gestione criminale contrassegnata dalla presenza dei Prefetti di Giolitti.

Ancora oggi ci chiediamo perché – come vedremo in questo nostro ‘viaggio’ – importanti articoli del nostro Statuto non sono stati applicati. Ciò è dovuto, in primo luogo, all’ ‘ascarismo’ della classe politica siciliana. Ma ciò è anche dovuto all’ostracismo dello Stato italiano repubblicano, che ha sempre visto male l’Autonomia siciliana.

Il motivo c’è. L’Autonomia siciliana non è stata una concessione del nascente Stato repubblicano (peraltro, di un nascente Stato repubblicano nato sull’onda del dubbio di brogli elettorali, s è vero che il referendum che sancì la vittoria della Repubblica sulla Monarchia è stato contrassegnato da ombre mai chiarite). E’ stata, al contrario, una conquista ottenuta grazie al Separatismo siciliano. (a destra, foto tratta da cronologia.leonardo.it)

Senza il Separatismo la Sicilia non avrebbe mai avuto l’Autonomia. Fu la paura di una Sicilia staccata dal resto d’Italia che costrinse lo Stato dell’epoca, che non era ancora repubblicano, ad accettare l’Autonomia siciliana (lo Statuto autonomistico siciliano, come già ricordato, entra n vigore nel 1946, e le prime elezioni del Parlamento siciliano si terranno nel maggio del 1947, prima che in Italia entrasse in vigore la Costituzione repubblicana).

Questo ha determinato una sorta di invidia, mista ad antipatia, verso la Sicilia e i siciliani da parte dello Stato italiano centrale. Questo sentimento, molto presente, da sempre, nelle alte burocrazie ministeriali, sommato all’ ‘ascarismo’ delle classi politiche siciliane, ha determinano il flop dell’Autonomia siciliana. Un fallimento, pressoché totale, che, come vedremo nelle prossime puntate, ha comportato la mancata applicazione delle parti più importanti del nostro Statuto.

(Fine prima puntata/ continua)

 

Giulio Ambrosetti

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