«La scuola? Una maestra che ha fallito»

Non c’è dubbio che si tratti di un capolinea. La scuola, gli studenti, gli obiettivi, le coscienze; un ammasso di concetti slegati, un piccolo fallimento annunciato, un sistema poco interessante che non ha più le forze di far frutti. Il 12 ottobre, gli studenti italiani sono scesi in piazza in uno dei tanti momenti di routine scolastica autunnale. Da qualche parte, resistono ancora i contenuti, va detto, ma Catania riassume bene quanto profondo sia stato l’abisso, stavolta.

SETTEMBRE, ANDIAMO. Il tema di questi mesi – alla base della protesta – è l’esame di riparazione. Provando a entrare nel merito, è necessario premettere che la politica di Fioroni non ha essenzialmente nulla di propositivo. Dal suo insediamento, il ministro altro non ha fatto che pescare dal passato e riportare in vigore. Partiamo dall’evidenza: il vecchio modello scolastico ha fallito. Che fosse necessaria una riforma era altrettanto evidente (che la Moratti abbia pasticciato in maniera colossale, è un altro discorso ancora). Rituffarci in una scuola anni ’60, nell’Italia già culturalmente obsoleta e anti-progressista del 2007, è un funerale in pompa magna per i prossimi vent’anni; a peggiorare le cose, la totale assenza di apertura alla novità, allo stimolo, alla freschezza della formazione. Blocchi monolitici, calati dall’alto, immobili e inespressivi agli occhi di qualsiasi studente.

RITORNO AL PASSATO. La malattia della scuola italiana non sta nel divertimento giornalistico di riscoprire il “bullismo”, né nel debito o nell’esame a settembre. Al primo giorno di scuola, oggi, continuano a dirti che l’obiettivo è avere una classe omogenea. L’omogeneità, la sconfitta delle personalità indipendenti, delle opinioni personali, l’appiattimento del percorso di formazione. In assenza di eterogeneità, è chiaro che l’unico modo per trovare il bandolo della matassa disciplinare è, anziché l’ordine delle idee, della partecipazione, della solidarietà tra compagni, il rigore del ritorno alle origini. Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

 

“Coppa bestiali”

RUN, BABY, RUN. Gli esami a settembre avevano fallito perché la scuola non è mai stata in grado di garantire dei corsi di recupero dignitosi, alimentando in maniera spaventosa il mercato delle lezioni private in nero e sottraendo di fatto il percorso educativo al suo legittimo responsabile. Anche i debiti e i crediti delle ultime riforme hanno fallito, perché si proponevano di incentivare la valutazione complessiva di una carriera scolastica senza considerare un fattore fondamentale: l’inadeguatezza strutturale del sistema. Le indicazioni didattiche non mirano ad altro che alla corsa verso la fine del programma. Senza nessun obiettivo qualitativo, nessuna indicazione di eccellenza: la scuola superiore è e deve restare una specie di ristagnante banca dati. Non è inquietante che oggi uno studente si fidi mille volte più di Wikipedia che della sua scuola?

IL VUOTO CHE AVANZA. Privato del piacere di maneggiare le cose, dell’educazione alla riflessione, del gusto di sperimentare, qualsiasi essere umano perderebbe i propri stimoli. Figuriamoci un 16enne. Perché mai si dovrebbe avere un sentimento di appartenenza a un luogo improduttivo? E perché mai si dovrebbe addirittura aver voglia di difenderlo? Ed eccoci quindi al prodotto finale: corpi vuoti.

AUTUNNO TIEPIDO. Neanche il “piccolo” sentimento festaiolo basta più a tenerli dentro un corteo. Oggi, a Catania, sfilano al massimo in cento, cantano “po po po po po” e se gli chiedi perché sono lì non sanno cosa dirti. E se per metà è colpa loro, per almeno due metà è colpa del loro educatore principe, la scuola. Dentro le classi, abbiamo ritmi talmente distanti da quelli della vita di tutti i giorni che bisogna inventarsi una partita di ping pong, uno striptease dietro la lavagna, un match di pugilato, una partita a carte. Fuori dalle classi, abbiamo persone impersonali, convinte che respirare la loro libertà significhi, come gli insegnano, l’omologazione, cioè la vita da branco.

CHIACCHIERE E APERITIVO. Di tutto ciò, però, pare accorgersene solo chi a scuola c’è già stato, e ne è rimasto deluso perché avrebbe voluto qualcosa di più. Poi c’è chi si vuol tappare gli occhi e ti dà del disfattista, ché non è tutto da buttare, ché la crisi dei valori è un problema sociale condiviso, ché la scuola italiana è l’orgoglio del paese intero, ché il problema sono i ragazzi che non si applicano, ché le famiglie sono disattente, ché almeno da noi non si sparano addosso, ché da noi a scuola ci vanno tutti, belli e brutti, ché facciamo meglio a tenerci quel che abbiamo, ché ci lamentiamo sempre, ché vogliamo sempre qualcosa in più.

A loro, sentitamente e lentamente dedico.

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

(da una riflessione di Pablo Neruda)

Questo articolo è stato ripreso dal sito www.megaronline.org

Roberto Pirruccio

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