La Scozia rimane nell’Unione, un monito per la Sicilia e tutte le nazioni aspiranti all’autodeterminazione

Avevamo ben pochi dubbi sul risultato del referendum scozzese: e però, le impressioni personali devono tacere sino al riscontro ufficiale, anche perchè le stesse autorevoli fonti sondaggistiche scozzesi che auspicavano la vittoria del “no”, cioè il mantenimento del Regno Unito di Gran Bretagna, tendevano a cautissima prudenza. Tuttavia segnali che il “si” all’indipendenza della Scozia non passasse, come è in effetti avvenuto – il 55% per l’Unione contro il 45% per l’indipendenza, e solo circa 3 mila schede nulle, 87% di votanti, dimostrano la grande partecipazione e civiltà del popolo scozzese- erano tanti negli ultimi giorni: dalle scommesse pagate in anticipo dai broker della City londinese ai sostenitori del “no”, al parere del Dipartimento di Stato degli USA che si è espresso contro ogni forma di indipendenza scozzese (ricorda qualcosa, per chi conosce la Storia, le medesime opinioni del Dipartimento americano nell’immediato dopoguerra contro ogni forma di indipendenza della Sicilia, in seguito alla riassunzione di poteri da parte dello Stato italiano nel febbraio 1944, mentre nei mesi precedenti le autorità dell’AMGOT non nascondevano i propri “sentimenti” favorevoli al movimento Indipendentista siciliano? Ma lì c’era una guerra mondiale in corso…); fino alla dichiarazione di Sua Maestà la Regina Elisabetta II, la cui popolarità nel Regno Unito e in Scozia è immensa, la quale -pur non uscendo dal consueto ruolo istituzionale- ha invitato informalmente gli elettori a “riflettere bene sul futuro”.

E’ chiaro che la Regina non ha dato il suo parere, ma ha fatto intendere di pensare a ciò che si fa. E la regina, in Italia non si può capire perché di Monarchia in senso mistico e simbolico non ne abbiamo da quasi settanta anni e le ultime esperienze, mercè la guerra, non furono poi felicissime, è la Regina… Ovvero un “axis mundi” che per autorevolezza, carisma personale e dignità non ha eguali, anche per chi è fieramente di animus repubblicano. Si immagini che in Francia, la nazione che ha tagliato la testa ai Re e ne ha gettato le spoglie nelle fogne per poi pentirsene amaramente e restaurarne le tombe, l’idea monarchica è talmente radicata che persino un fiero repubblicano come De Gaulle, fu visto come discendente-mandatario di una linea di sangue reale… Nessuno, tanto per ribadire, in una ipotetica Scozia indipendente, pensò mai alla repubblica -e il leader Salmond è di estrazione labour, da noi si direbbe genericamente “di sinistra”- ma subito si precisava che Elisabetta II sarebbe rimasta la Sovrana. Mai sia a mettere in dubbio la Corona. Ma la Corona è unita dagli inizi del 1700, e tale rimane. Per motivi più materiali che storici forse, e tuttavia anche altamente simbolici se è vero, come abbiamo visto, che la battaglia pro o contro il referendum, alfine vinto da coloro che han preferito rimanere nello Stato unitario, si è combattuta più coi simboli, quindi parlando al cuore, che con la razionalità del denaro. Certo è che adesso, ossia nei prossimi mesi, si farà quella che viene detta “devolution”, la maggiore delega dei poteri per il massimo dell’autonomia, noi preferiamo dire in senso federale, al governo scozzese: e molto probabilmente funzionerà bene, perchè se la metà degli scozzesi pro indipendenza se la sono meritata, la desiderano anche gli unionisti. Come è nell’auspicio concorde di tutti.

Crediamo altresì che questo risultato, molto atteso nelle nazioni, dalla Catalogna alla Corsica alla Sardegna alla Sicilia (del nord Italia, Veneto in testa, non facciamo cenno perché conosciamo i nostri polli…), debba spingere più per una riforma in senso prettamente federale delle suddette “piccole patrie” nell’ambito dello Stato centrale, il quale non potrà e non dovrà negare il massimo delle strutture, specialmente finanziarie (la discussione scozzese fu sul petrolio del mare del Nord… remember il canale di Sicilia e le trivelle nostrane?) che devono essere economicamente gestite dal governo regionale autonomo, solo in seguito partecipate dallo Stato nazionale. Questa è e deve essere la base del contendere politico. Specie da noi in Sicilia laddove, come è stato da attenti economisti affermato e persino dal Presidente del Parlamento siciliano in carica, lo Stato italico “rastrella” ben più di quanto dovrebbe e ci “restituisce” ciò che vuole, cioè una miseria…
Solo un Governo regionale degno di questo nome (glissòn sull’attuale, non ci si faccia scrivere parole oscene…) può avviare la riforma. Ma tale deve essere sostenuta dai Siciliani i quali, stando ai risultati, rifiutano di esprimersi in maggioranza, perchè hanno capito l’ìinganno, per la Regione. O, e questo spiacerà agli indipendentisti ma è reale, sono più sicuri sotto l’usbergo dello Stato centrale, quale che sia, che governati dalla Regione Siciliana. Nelle elezioni dell’ottobre 2012 andò a votare solo il 47% degli aventi diritto, mai successo dal 1946: per la prima volta il Parlamento siciliano e il governo da lì scaturito sono delegittimati de facto, se non de jure, perchè espressioni di minoranza.. e il Presidente della Regione peggio, è minoranza di minoranza! Ma alle elezioni nazionali del 2013 ed alle europee del 2014 la maggioranza dei siciliani aventi diritto si è recata alle urne (le nazionali sono più significative per noi), quindi delle due l’una: o non si crede alle “minchiàte” dei politici regionali, o si è più unionisti anche noi che separatisti. Tertium non datur.

E’ palese che tutti coloro i quali perseguono obiettivi personali dimenticano di citare questi dati ufficiali: ma essi sono istintivamente, se non tecnicamente, noti ai siciliani che “nun si fanu cchiù pigghiari ppì fìssa”. Votarono in massa Cuffaro, e si sa come è finita… votarono in massa Lombardo, e si è visto: ora basta! Registriamo che altri popoli, dalla Scozia che comunque avrà un futuro federale, alla Catalogna (che terrà il suo referendum a novembre seppure non legalizzato, ma è importante perchè anche lì il governo centrale e, crediamo, il nuovo Re Felipe personalmente, non potrà esimersi dal concedere più autonomia: e diciamo concedere come fece Sua Maestà Umberto II di Savoja capo dello Stato italiano, che in seguito alla guerra civile siciliana concesse lo Statuto autonomista siciliano il 15 maggio 1946, la cui applicazione completa è il nodo gordiano di tutte le discussioni locali…), hanno una maggiore coscienza dei propri diritti federalisti e sono psicologicamente “maturi” per chiederli in modo affatto democratico e senza buffonate.
Dubitiamo che in Sicilia vi sia attualmente tale coscienza, e però bisogna “lavorare” con pazienza e tolleranza, senza estremismi, per conseguirla. Parlando al cuore ed al simbolo, come al portafogli, senza far prevalere l’uno o l’altro. Difficile ma possibile. Se ci sono proposte utili (vedasi la moneta complementare Grano, su cui v’ha ampio dibattito anche se talvolta scaduto in inutili, sterli contrapposizioni personali) si affrontino senza acrimonia e soprattutto senza niuna ombra di interessi personali, perchè è questo il vulnus centrale della psicologia politica siciliana: e se è questo, meglio fu (come i nostri maiores ben sapevano) affidarci al Sovrano di Spagna rappresentato dai Viceré, per secoli; e come in modo silente ma eloquente dice la maggioranza dei non votanti alle ultime regionali, uno Stato nazionale che ci maltratta (ma che comunque ci deve rispetto e risarcimento anche economico, vedi art.38 dello Statuto) va a finire che sia meglio interpretato di un governo e Parlamento regionale di imbelli, o meglio “mangiatàri”, come si afferma nella nostra lingua millenaria. Codesta visione non ebbe pure il Principe di Salina e il nipote Tancredi, quando scelsero il tricolore d’Italia invece che la corrotta ‘governance’ di Franceschiello? Eh, sì…
Francesco Giordano

Francesco Giordano

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