“Siamo noi l’Italia, non abbiamo più paura, non vogliamo più stare in silenzio. Lotteremo e vinceremo. Eccoli i fannulloni, siamo noi, siamo tutti qui”. E alle forze dell’ordine presenti: “Dovete stare dalla nostra parte perché avete anche voi dei figli che vogliono andare all’università”. Chissà cosa direbbe Pasolini di fronte alle scene viste venerdì mattina a Roma, davanti al Ministero dell’Istruzione con gli studenti ad urlare i loro slogan in faccia alla polizia e sotto la finestra del ministro Gelmini.
 
È una scarica di adrenalina quella che sta attraversando scuole e università: studenti, ricercatori, docenti, personale tecnico e amministrativo, tutti insieme per cercare di salvare il futuro del sistema d’istruzione pubblica italiano e protestare contro la “riforma” del governo Berlusconi. Da Milano a Palermo manifestazioni, cortei, occupazioni e lezioni all’aria aperta. E a Catania? Nonostante i rappresentanti degli studenti sembrano distratti dalle elezioni, qualcosa sembra cominciare a muoversi.
 

Partiamo dalla capitale, che è stata il centro della protesta con il corteo convocato dai Cobas della scuola a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone (300mila secondo i sindacati di base). Da segnalare anche l’occupazione da parte degli studenti de “La Sapienza” e il blocco delle attività didattiche. A Milano è stato occupato il cortile della facoltà di Scienze Politiche, si prospetta il blocco delle lezioni. Lo scorso venerdì trentamila studenti e insegnanti hanno partecipato ad un corteo che si è concluso con un tentativo di irruzione nel Provveditorato.
 
Situazione simile a Bari (blocco della didattica e annullamento della cerimonia d’apertura dell’anno accademico), Pisa dove anche i cervelloni della ‘Normale’ si sono fatti sentire, e Napoli. A Genova, Firenze, Siena e Torino oltre all’occupazione e al blocco della didattica si è pensato a qualcosa di più originale: lezioni in piazza e cattedre itineranti con docenti e studenti che spiegano ai cittadini cosa rischia l’università italiana, sul modello ottocentesco dei docenti di Agraria che cercavano di insegnare ai contadini nuove tecniche di trattamento della terra. Così anche Piazza del Campo si trasforma in una grande aula magna universitaria.
 
Obiettivo principale è la legge 133 che il parlamento ha approvato poco prima di andare in vacanza, il 6 agosto 2008 (conversione del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112).
Una legge che di ‘riforma’ sembra avere ben poco. Si legge infatti sul sito della Camera (http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm) che il provvedimento contiene “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”. Questione, quindi, prettamente economica.
Gli articoli più criticati sono il numero 16 “Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università” e il numero 66 sul “Turn Over”. Vediamoli in dettaglio.
Il primo sancisce il diritto delle università a trasformarsi in fondazioni private. La decisione spetta al Senato Accademico di cui è necessaria la maggioranza assoluta. Ciò significherebbe quindi per gli studenti un aumento delle tasse che non avrebbero più un limite imposto dallo Stato e un completo arbitrio dell’ente privato anche sulla ricerca, visto che le nuove fondazioni universitarie godrebbero di “autonomia gestionale, organizzativa e contabile”.
 
Il secondo punto riguarda l’inserimento e l’assunzione dei ricercatori. La legge stabilisce che nel 2009 le università potranno assumere a tempo indeterminato solo 1 ricercatore ogni 10 docenti andati in pensione l’anno precedente (turn over al 10%). La quota sale a 1 su 5 nel biennio 2010/2011 (turn over al 20%) e 1 su 2 nel 2012 (turn over al 50%). Inoltre, nello stesso articolo è prevista la riduzione del finanziamento ordinario delle università di 63,5 milioni di euro nel 2009, di 190 milioni nel 2010, di 316 milioni nel 2011, di 417 milioni nel 2012 e 455 milioni nel 2013. Calcolatrice alla mano: il risultato fa 1 miliardo 441 milioni di euro sottratti all’università pubblica in cinque anni. Come dire: o si muore o si può sempre ricorrere all’articolo 16, cioè alla privatizzazione.
 
A Palermo si prospetta un inizio settimana movimentato. Lunedì, in occasione della visita del ministro Gelmini, è stato organizzato un corteo di protesta aperto a tutti i cittadini. E da martedì lezioni sospese in tutte le facoltà, sull’esempio di Lettere, in assemblea permanente da quasi una settimana.
 
E Catania? Sembra proprio che l’onda lunga della protesta non sia ancora arrivata nella nostra università. La facoltà di Lingue è stata l’unica a prendere posizione proclamando una settimana (dal 6 al 12 ottobre) di mobilitazione, e un’assemblea cittadina giorno 24 ottobre. Per il resto pare che le elezioni per la rappresentanza studentesca abbiano tenuto impegnati e distratto associazioni e partiti. Ce lo conferma Antonio Rosella (gruppo Intesa Autonomista, Liberi e Forti): “Le competizioni elettorali hanno impedito qualunque tentativo di manifestazione”. Antonio Currao (candidato Pd al Consiglio di Amministrazione dell’Università) aggiunge: “Purtroppo la protesta di Lingue è rimasta sola e fine a sé stessa, anche per colpa delle elezioni”. Giampiero Gobbi, rappresentante uscente della Facoltà di Lingue prospetta “la realizzazione di una piattaforma comune tra i gruppi di Lingue e Lettere, e di allargare successivamente la protesta ad un livello più alto”.
In realtà qualcosa comincia a muoversi, soprattutto ad opera dei Collettivi e del Movimento Studentesco. Belluardo Giuseppe (Scienze Politiche) e Andrea Alba (Lettere) ci dicono: “Noi come movimento studentesco siamo stati presenti al corteo di venerdì, convocato dai Cobas, e nei prossimi giorni ci organizzeremo a prescindere da qualsiasi forma di rappresentanza istituzionale”.
Proprio a Scienze Politiche è prevista un’assemblea lunedì mattina.
Forse anche Catania comincia a svegliarsi…

Salvo Catalano

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