La Regione tra debiti e buchi di bilancio voluti da Roma Un disegno per abolire in silenzio l’Autonomia siciliana?

L’unica cosa certa è che alla Regione si naviga a vista. Forse, qualcosa in più della confusione di queste ore convulse, con la Giunta che ieri sera ha approvato in fretta e furia i documenti finanziari, si dovrebbe capire stamattina, se è vero che l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, dovrebbe tenere una conferenza stampa a Palermo. Il resto, se si guarda al futuro della Sicilia, è buio.

Tuttavia, nel buio si intravedono alcune ombre. A cominciare dall’indebitamento, che forse è una delle poche cose chiare. Sulla cassa c’è un buco di circa 5 miliardi di euro. Sulla competenza la situazione è un po’ più ballerina e stamattina la situazione dovrebbe essere un po’ più chiara leggendo il Bilancio preventivo. In ogni caso, dovremmo viaggiare su un buco di competenza di 2 miliardi di euro e rotti. 

A preoccupare non è solo il deficit, ma l’atteggiamento del Governo nazionale di Matteo Renzi e, in generale, il dibattito che si sta sviluppando attorno al futuro delle Regioni del nostro Paese. Questi due elementi, strettamente legati alle difficoltà finanziarie in cui si dibatte la Regione, lasciano intravedere possibili cambiamenti, non esattamente positivi, che bisogna mettere nel conto. 

In primo luogo c’è l’atteggiamento che il Governo nazionale ha tenuto verso il Sud in questi ultimi mesi dell’anno. E’ stato aumentato il costo del cofinanziamento dei fondi europei a carico delle Regioni ad Obiettivo convergenza. Cioè delle Regioni del Sud – e tra queste c’è la Sicilia – che dovrebbero usufruire dei fondi strutturali, con riferimento alla Programmazione 2014-2020. 

Presi dalle tante emergenze – in buona parte create dal Governo Renzi e dal Governo regionale di Rosario Crocetta – non ci siamo quasi accorti che la nuova Programmazione 2014-2020 è iniziata l’1 gennaio dell’anno che sta finendo. Ebbene, in questo anno la Regione siciliana non ha utilizzato un solo euro della nuova Programmazione. 

Che significa questo? Semplice: che i primi fondi europei della Programmazione 2014-2020 – se tutto andrà bene – potranno essere spesi, in Sicilia, a partire dai primi mesi del 2016. E potranno essere spesi solo con un’onerosa quota di compartecipazione a carico della Regione siciliana. Soldi che la Regione potrebbe non avere nella propria disponibilità. Cosa, questa, che ritarderebbe ulteriormente l’utilizzazione di questi fondi. 

Dunque, per il prossimo anno, in termini di cassa, ci sarà soltanto la coda di quello che resta dei fondi europei 2007-2014. Quel poco che resta: perché,com’è noto, i fondi europei 2007-2013 riprogrammati dall’ex Ministro Fabrizio Barca sono stati tolti a tutto il Sud per essere utilizzati nel Centro Nord Italia per sgravi alle imprese. Parliamo delle risorse Pac (Piano di azione e coesione) destinate al Sud, ma dirottate nel Centro-Nord Italia.

La sola Sicilia, grazie a questa manovra attuata dal Governo Renzi, approvata dal Parlamento nazionale e avallata dal Governo Crocetta (che non ha protestato!), perderà da 600 milioni e un miliardo di euro (la cifra precisa si conoscerà dopo l’approvazione definitiva della legge di Stabilità da parte della Camera dei deputati).

A questo si aggiungono gli altri tagli ai danni del Sud operati sempre dal Governo Renzi (incredibile quello che è successo con le opere ferroviarie, concentrate in buona parte del Centro Nord Italia) e i prelievi forzosi che Roma attua da due anni sempre ai danni della Sicilia: 915 milioni di euro nel 2013 e 1 miliardo e 350 milioni di euro quest’anno (leggere accantonamenti annuali). Con la prospettiva che nel 2015 il Governo Renzi si prenda direttamente dalla fonte – cioè dalle entrate della Regione siciliana gestire dall’Agenzia delle Entrate – un altro miliardo di euro. 

Due le considerazioni. 

Prima considerazione. I costi che l’Unione europea dell’euro impone all’Italia vengono in buona parte caricati sulle spalle del Sud. Lo vediamo con i fondi ordinari dello Stato, ormai del tutto scomparsi nel Mezzogiorno, come denuncia ripetutamente la Svimez. A cui si aggiunge lo scippo dei fondi Pac. E i tagli al Bilancio regionale con i già citati accantonamenti. 

Seconda considerazione. Ieri Nicola Zingaretti, autorevole esponente del Pd e presidente della Regione Lazio, è venuto allo scoperto. In un’intervista al Corriere della Sera ha detto che venti Regioni, in Italia, sono troppe. E ha aggiunto a chiare lettere quello che si sussurra da tempo: e cioè che le Regioni del nostro Paese dovranno diventare cinque. Ora se mettiamo assieme la crisi finanziaria della Regione siciliana – provocata dal Governo Renzi e avallata dal Governo Crocetta – e il progetto enunciato ieri da Zingaretti, sorge spontanea una domanda: a Roma, per caso, hanno deciso di eliminare l’Autonomia siciliana, facendo sparire, in un colpo solo, Statuto e Parlamento dell’Isola? 

La domanda è legittima. Il pensiero corre a una considerazione di circa sei mesi fa di Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo e presidente dell’ANCI Sicilia, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Commentando una Regione siciliana che già sei mesi fa non pagava più, Orlando diceva: «Non parlo da Sindaco di Palermo, parlo da docente di Diritto Pubblico: una Regione che non paga è una Regione che non c’è più».  

Orlando, sei mesi fa, ipotizzava lo scioglimento anticipato dell’Assemblea regionale siciliana. Ma, forse, dietro questa strategia del Governo Renzi, non c’è solo lo scioglimento anticipato dell’Ars, ma la possibile fine dell’Autonomia siciliana. Ieri, addirittura, commentando l’intervista di Zingaretti, un esponente politico che preferisce non venire allo scoperto, ci ha detto: «La Sicilia potrebbe finire con la Calabria e la Sardegna».  

  

    

   

    

Giulio Ambrosetti

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