Antonio Caprarica (direttore Radio Uno e GR Rai), Peppino Ortoleva (docente dell’università di Torino) e Romeo Perrotta (presidente di RadUni), sono solo alcuni dei numerosi ospiti che sono intervenuti in occasione del workshop, tenutosi all’interno del Festival nazionale delle Radio Universitarie. Le prime parole spettano però ad Antonino Recca, Rettore dell’Ateneo di Catania:
«Prendo la parola per dare il benvenuto a tutti gli ospiti, e soprattutto per esprimere la mia grande soddisfazione per questa opportunità, nata dall’iniziativa di alcuni studenti di lingue e di alcuni docenti, quali l’allora preside di facoltà Pioletti, o ancora il prof. Granozzi. Lo sviluppo della radio è stato tale, da renderla in poco tempo la radio dell’Ateneo, il quale non si ferma e guarda avanti. Pertanto si lavora per una televisione d’Ateneo, che possa divenire un mezzo per svolgere attività culturali».
Il Festival è stato organizzato da RadUni, associazione operatori radiofonici universitari, che ha in Romeo Perrotta il suo presidente: «Nel lavoro di ricerca che abbiamo svolto in tutti gli atenei nazionali – ha spiegato Perrotta – sono state individuate oltre settanta iniziative di media, da dividere tra attività radiofoniche o televisive, con un boom che ha interessato soprattutto gli ultimi due anni. Ovviamente è stata riscontrata una disomogeneità tra le varie attività, sia per il diverso stato d’avanzamento, che per un diverso coinvolgimento iniziale. L’attività può infatti partire per opera dell’Ateneo, della singola facoltà, del singolo docente o di associazioni universitarie. Ed ancora sono state registrate diversità riguardo all’impatto avuto e soprattutto riguardo all’investimento iniziale. Non mancano però elementi comuni come la sperimentazione di nuovi generi o nuovi linguaggi o la medesima scelta nel veicolare contenuti culturali e musicali. RadUni cerca di convogliare tutte queste realtà in un unico progetto di comunicazione, che incoraggi a collaborare, scambiando informazioni e contenuti, per creare una rete comune che presenti delle proprie specificità. Tutto ciò non può avvenire solo con le nostre forze, ma occorrono sia risorse che alleanze».
Alla tavola rotonda è intervenuto anche Antonio Caprarica, attuale direttore di Radio Uno, ma a lungo corrispondente estero per il Tg1: «Nel confronto con l’estero noi italiani arriviamo in ritardo. In Gran Bretagna la prima radio universitaria nacque nel 1964 a Glasgow, e di seguito tutte le altre. Oggi, nonostante il periodo di crisi attraversato negli anni Ottanta, il web ha ridato fiato e potenzialità alle radio britanniche (anch’esse riunite in un’unica associazione, la NASTA), le quali puntano all’espansione verso il digitale. Il fenomeno italiano è ancora più in ritardo rispetto a quello americano, dove la corrispondente associazione universitaria, l’MTVU, raccoglie oltre 750 network. In Italia, si assiste ad una sorta di “sclerosi mediatica”, per questo non si riesce a stare al passo con la modernità, anche per rispondere alle domande di chi vuole lavorare nel mondo della comunicazione».
La discussione si sposta allora sulla possibilità di ridurre il gap con il resto del mondo sviluppato, formalizzando l’unione tra radio e internet. Salvo Mizzi, responsabile del Digital Service Innovation di Telecom Italia, spiega: «Il matrimonio tra radio e internet è possibile, perché oltre a garantire una maggiore profondità di campo ed una maggiore velocità, internet permette la possibilità di creare un mercato sempre più in espansione e che sia in grado di autogenerarsi. Così tutti i network non necessitano più di essere organizzati da qualcuno, potendo trovare nella raccolta di pubblicità il loro business, come l’esempio di Google conferma».
Sullo stesso argomento interviene Lele Danesi, Executive communication manager di Cisco: «Trovo che ci sia una “frattura culturale” che caratterizza oggi le radio tradizionali italiane. Sebbene siano molto vicine ad internet, all’interno dei loro palinsesti non vi è traccia di sperimentazione di contenuti generati dagli utenti. L’unica possibilità è data dalle radio web, dalle radio libere. Per questo motivo il matrimonio è necessario».
L’auspicio di tutti è che quest’unione ci sia, ed il più presto possibile, soprattutto per dare voce, spazio e libertà d’azione ai giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro. Citando Ortoleva: «una radio non deve essere la voce del rettore, ma la voce dell’universitas. Una radio deve saper riportare nell’università la discussione».
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