La raccolta delle erbe spontanee in Sicilia, guida all’uso «Il segreto è non utilizzare solo la vista ma tutti i sensi»

Piante, frutti, fiori, rizomi, bulbi, tuberi e radici. «Chi conosce i doni della natura non torna mai a casa a mani vuote – spiega a MeridioNews il presidente dell’associazione Natura sicula Fabio Morreale – Ma nessuno si può e si deve improvvisare raccoglitore di erbe spontanee». 

Nata dalla necessità di mettere qualcosa sul piatto in tavola nei periodi di carestia, l’alimurgia da antichissima arte è diventata la scienza che studia l’uso delle piante selvatiche non velenose e commestibili e, negli ultimi anni, è tornata di moda. Abbandonati durante la fase del boom economico, gli insegnamenti di nonne e bisnonne sono tornati utili, ma l’approccio culturale è cambiato. «Il fai-da-te non può bastare non solo perché è necessario avere cura di raccogliere le piante nella maniera giusta per non danneggiare l’ecosistema, ma soprattutto perché ci sono delle specie insidiose». 

Sono diversi, infatti, gli episodi di consumatori intossicati, avvelenati o addirittura morti dopo avere consumato verdure selvatiche velenose scambiate per buone. È il caso, per esempio, della 78enne Anna Laura Maria Mistretta di Mazara del Vallo, morta dopo avere mangiato mandragora scambiata per borragine. Per questo, due venditori ambulanti sono stati condannati per omicidio colposo in concorso a un anno e quattro mesi di carcere. «Il segreto è non limitarsi a usare sola la vista ma attivare tutti i sensi, soprattutto l’olfatto – chiarisce Morreale – Ci sono piante che si somigliano molto tra di loro, ma nessuna è mai perfettamente identica all’altra». 

È il caso dell’eleosino che sembra finocchietto selvatico, «ma ci sono sempre delle caratteristiche per cui si differenzia: entrambi hanno le foglie frastagliate ma nell’eleosino un po’ meno. La somiglianza è comunque più fedele solo quando il finocchietto è giovane perché – spiega Morreale – poi arriva ad avere steli alti anche oltre tre metri, mentre quelli dell’eleosino non superano mai il metro e mezzo». La cosa fondamentale resta, in ogni caso, attivare tutti i sensi: «Se si strofina la pianta e si annusa, il finocchietto emana un gradevole odore di anetolo, mentre l’eleosino solo apparentemente emette lo stesso profumo ma, dopo pochi secondi, fa storcere il naso perché si comincia a percepire un odore sgradevole». 

Autore del libro – giunto alla sua terza edizione – Piante spontanee alimentari in Sicilia. Guida di fitoalimurgia, da oltre 14 anni Morreale con la sua associazione organizza corsi per insegnare a raccogliere le verdure selvatiche. «Non solo lezioni teoriche ma anche escursioni durante le quali mettiamo in pratica le conoscenze acquisite e laboratori di cucina in cui riscoprire ricette della tradizione che valorizzino la piante spontanee commestibili». 

I periodi migliori per la raccolta sono quelli che vanno dall’autunno alla primavera. L’offerta estiva, sicuramente più limitata, offre comunque alcune specie: «Per esempio il crescione che cresce lungo i corsi d’acqua e non va mai mangiato crudo perché, a causa di un parassita allo stato larvale che potrebbe contenere all’interno, c’è il rischio di distomatosi epatica (malattia parassitaria del fegato, ndr)». Non solo specie conosciute. «Ce ne sono alcune ancora del tutto ignorate come il farinello comune», una specie di spinacio selvatico che pochi sanno essere commestibile. «Se i siciliani imparassero a mangiarlo sarebbe un grande sollievo anche per gli agricoltori – afferma Morreale – perché, essendo molto infestante, per loro è un vero e proprio flagello».

Marta Silvestre

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