La prova che la ‘rivoluzione’ in Ucrania è pagata dagli Stati Uniti

UN REPORTAGE DI FEDERICO RAMPINI DESCRIVE, CON NOMI E COGNOMI, CHI SONO I PROTAGONISTI DI UN’OPERAZIONE DI STAMPO IMPERIALISTA

Un reportage di Federico Rampini dagli Stati Uniti d’America, riportato da Il Venerdì di Repubblica, riferisce con grande puntualità le fonti di finanziamento della rivolta anti Yanukovich a Kiev. Sono gli uomini d’affari, titolari o contitolari di grandi aziende, artisti ed il popolo di Little Odessa di New York, tutti di origine ucraina, che sostengono finanziariamente la rivolta di piazza Maidan a Kiev in Ucraina.

Solo per ricordare alcuni tra i personaggi più noti in campo internazionale: l’attore Jack Palance o il più celebrato Andy Warhol (vero nome Andrew Warhola); il trombettista jazz Herb Alpert, divenuto industriale discografico. Ovvero grandi magnati dell’industria come il produttore degli elicotteri più venduti, Igor Sikorsky; o Stephen Wozniak, cofondatore di Apple con Steve Jobs; o Jan Koum, creatore di WhatsApp, cresciuto in Ucraina ai tempi dell’Unione sovietica.

Un ruolo attivo nella mobilitazione alla raccolta di fondi da inviare a Kiev lo svolge l’Ukrainian Congress Commitee of America, guidato dalla sua presidente Tamara Olexy, che conta tra i suoi riferimenti territoriali Little Kiev di Manhattan il cui luogo d’incontro è la chiesa cattolica di San Giorgio. Inoltre, gli insediamenti di ebrei ucraini a Brooklyn, ai Queens e nel New Jersey.

Con altrettanta puntualità Rampini descrive i collegamenti che la lobby ucraina intrattiene con l’Amministrazione di Washington.

Già nelle ultime amministrazioni repubblicane di George Bush, dal 2001 al 2009, la signora Paula Dobriansky ricopriva l’incarico di sottosegretario di Stato con lo scopo di seguire le “rivoluzioni arancioni”. Anche Barak Obama non ha disdegnato di nominare sottosegretario al Commercio una persona di origine ucraina, Jane Lubchencko.

Successivamente, la comunità ucraina ha preferito mantenere con l’amministrazione un rapporto, per così dire, più professionale: ha ingaggiato dei lobbisti. Tanto che il nuovo governo golpista di Kiev si è avvalso dei servizi di Anthony Podestà, un italo americano, assunto a Bruxelles e fratello del primo consigliere di Barak Obama. La sua società di lobbing, la “Podestà Group”, è stata ingaggiata per 510 mila dollari dalla European Centre for a Modern Ukraine, organizzazione che sostiene il nuovo governo di Kiev, che ha sede a Bruxelles e mantiene i contatti per l’adesione dell’Ucraina alla Unione europea ed alla Nato.

Le collaborazioni dei lobbisti comprendono almeno due ex deputati, uno democratico, Jim Slattery, e l’altro repubblicano, Vin Weber. Questi mantengono forti entrature fra i loro ex colleghi e sostengono la causa del nuovo corso ucraino e premono per misure restrittive nei riguardi della Russia. I due hanno reso pubblici gli onorari ricevuti nel 2013 da Kiev, poiché negli Usa il lobbismo parlamentare è una professione riconosciuta e regolamentata. L’ammontare dei loro compensi relativo allo scorso anno è di un milione di dollari.

Fin qui, per sintesi, il reportage di Federico Rampini che abbiamo riproposto perché lo abbiamo ritenuto di grande interesse, reso con grande professionalità.

Questo giornale fin dall’inizio della rivolta “arancione” ha ritenuto che le sommosse di piazza Maidan a Kiev fossero sollecitate dall’esterno e via via ne ha descritto le possibili influenze occidentali. Noi non abbiamo le informazioni dirette di chi, come Rampini, vive negli Stati Uniti e delle attività di stampo imperialista di quella nazione – aggiungiamo noi – ne è testimone diretto. Ma abbiamo adottato il vecchio e sempre valido sistema della somma aritmetica dei fatti e delle circostanze, li abbiamo messi in colonna ed alla fine abbiamo tirato le somme. E’, questo, un metodo universale che può essere praticato da tutti, solo a volere veder i fatti che sono a disposizione di chiunque volesse vederli e li volesse considerare nella loro cruda realtà, senza offuscarli con le lenti dell’ideologia e degli interessi di parte.

Riccardo Gueci

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