Il premio club Unesco Erice 2017, dedicato a chi si è distinto nella propria attività professionale sul territorio, è stato assegnato a Maria Grammatico, titolare della storica pasticceria di via Vittorio Emanuele, nel centro del piccolo borgo medievale di Erice, in provincia di Trapani. Per Vincenzo Bandi, presidente del Club Unesco, tre i motivi della meritata premiazione. «È una delle prime coraggiose imprenditrici siciliane – spiega – che si è distinta, in primo luogo, per aver contribuito a far conoscere la pasticceria e la cucina ericina nel mondo. Poi per il suo costante impegno nel trasmettere la tradizione culinaria alle future generazioni e infine per la sua generosità».
Uno sguardo gentile e un sorriso sempre pronto sulle labbra. È così che Maria, da dietro il bancone, accoglie i suoi clienti. Non esiste visitatore del piccolo borgo che non venga attratto e condotto dal profumo invitante delle sue paste, appena sfornate, all’interno della sua pasticceria. Bellibrutti, minne di monaca, sospiri, cuscinetti, sono i nomi di alcune specialità a base di pasta di mandorla. Immancabili le genovesi, pasticcini di frolla ripieni con crema pasticciera. E poi, cannoli, cassate, frutta martorana, mustazzoli, crostate, da gustare accompagnati da deliziosi vini della tradizione sicula.
Nata a Erice 76 anni fa, Maria è la maggiore di sei figli. «A 11 anni, – racconta – quando mio padre morì, io e mia sorella fummo mandate dalle monache del Convento San Carlo, maestre nell’arte pasticciera». Convinta di poter imparare un mestiere, resta delusa quando scopre che le suore tengono segrete le proprie ricette. «Erano talmente gelose – svela – che impastavano di notte, mentre a noi era consentito modellare e infornare la pasta già pronta». Decisa ad apprendere, Maria comincia a spiare le suore da una botola. «Prestavo attenzione agli ingredienti e ai loro singoli gesti. Memorizzavo e prendevo appunti».
Dopo 15 anni passati in convento, la giovane torna a casa e comincia a pensare di aprire un piccolo laboratorio di pasticcieria, contravvenendo alle consuetudini morali del tempo. «Era il 1963 e in quegli anni l’idea che una donna potesse aprire un’attività era scandaloso». Maria non possiede neanche il denaro necessario per acquistare utensili e materie prime. «Nella mia vita – racconta – non mi sono mai lasciata abbattere. Avevo un sogno e dovevo impegnarmi per realizzarlo. Non avevo soldi ma possedevo tre chili di mandorle. Iniziai da lì».
In pochi anni, i suoi prodotti iniziano ad essere apprezzati in Italia e tra i turisti stranieri. Ma restano le genovesi, i dolci più richiesti. «La ricetta originale di questi pasticcini – dichiara – è andata perduta perché la suora ericina che li rese famosi, si portò il segreto nella tomba. Ci impiegai due anni per ricreare la stessa ricetta. Dovetti chiedere aiuto agli anziani del paese che, conoscendo il sapore di quelli preparati dalla religiosa, assaggiavano i miei e correggevano quello che non andava». E continua: «Perché tenere nascoste le ricette della tradizione con il rischio che vadano smarrite per sempre? Sono un patrimonio comune a tutta l’umanità che bisogna tramandare a tutti, soprattutto alle generazioni future».
E proprio ai giovani sono rivolti i suoi insegnamenti. «Dicono che i miei dolci e la mia cucina siano famosi in tutto il mondo ma questo poco m’importa. La mia priorità sono le giovani generazioni a cui voglio trasmettere questa passione e l’amore per il lavoro onesto e i prodotti genuini». Uova biologiche, ricotta fresca, mandorle di Avola, pistacchio di Trapani sono alcuni ingredienti immancabili nella cucina di Maria, convinta sostenitrice che la genuinità sia indispensabile per portare avanti le tradizioni. È così la dolciera ericina, che oggi può contare sul lavoro di ben 25 giovani operai, ha aperto anche una scuola di cucina e pasticcieria siciliana, disposta ad insegnare e apprendere, lei stessa, i segreti del mestiere, perché «s’impara sino alla bara».
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