La parola agli economisti/ Carmine Bianchi:”La crisi in Sicilia? Ci governano i ciechi di Senge”

L’economia siciliana senza volere essere catastrofisti, oggettivamente  è al disastro totale. Secondo i dati della Banca D’Italia, la contrazione del PIL regione è stato di oltre il 2% e le previsioni più rosee ipotizzano un tonfo per il 2013 della stessa entità. Come se non bastasse, a questo si associano altri dati negativi accumulati dall’inizio della crisi, in particolare i due pilasti dell’economia regionale, l’edilizia ha meno 15% e l’agricoltura che viene da 5 anni di terribili risultati economica e di decisioni politiche scellerate (l’accordo UE-Marocco). A questo si aggiunge uno dei tassi di disoccupazione più alto in Italia.

La situazione siciliana però non è spiegabile soltanto con un discorso congiunturale, è anche e soprattutto una crisi strutturale provocate da decenni di politiche economiche Nazionali. Ad oggi, però quali sono le manovre che il Governo Regionale potrebbe mettere in pratica per avviare la Sicilia verso un proficuo commino dello sviluppo? Ne parliamo con il prof. Carmine Bianchi, Ordinario presso l’Università di Palermo di Economia Aziendale e coordinatore del Master in: “Modelli di System Dynamics per controllo di gestione nei processi di risanamento e sviluppo”.
 Prof. Bianchi, quando andavo alla scuola primaria, per spiegarci “il perché” del sottosviluppo siciliano o “il perché” la rivoluzione industriale non si fosse avviata in Sicilia, i libri del Ministero dell’Istruzione ci tenevano con cura a spiegare che la lontananza dai mercati costituiva un fattore di criticità fondamentale per lo sviluppo della Sicilia. Da allora, il dubbio è rimasto: perché il Giappone riesce a commercializzare in Italia (nonostante la notevole distanza) e la Sicilia non riesce a commercializzare le sue Arance in Valtellina?

“Per dare una risposta corretta alla sua domanda, le devo dire che il nostro è un problema di sistema. I singoli operatori economici possono fare più o meno bene, ma se manca un organizzazione del sistema, non si potrà mai agire sulle reali criticità. Nessuno affronta questo tema sui mass media: si parla sempre di singole emergenze ed anche il settore privato non è da meno, gli industriali si lagnano costantemente della carenza di contributi o di incentivi. Ma il cuore del problema è la mancanza di organizzazione, problema che abbiamo sia a livello nazionale che a livello locale. Quando pongo l’accento sul “sistema”, mi riferisco sia alla parte pubblica che a quella privata; il nostro problema è la capacità dei singoli settori operatori di creare valore. E’ la pubblica amministrazione regionale è la base per poter creare sviluppo”.
 Uno dei problemi della burocrazia regionale è quello di essere eccessivamente ampia, cioè di avere un eccessivo personale. Se lei fosse chiamato dal Presidente Crocetta cosa gli consiglierebbe di fare di questa risorsa?

“La ‘vox populi’ registra un eccesso di personale; ma come si fa a sapere se c’è un eccesso di personale, e di che entità è tale eccesso, se non sappiamo facciamo una mappatura dei processi gestionali, se con tracciamo i prodotti dell’attività amministrativa, gli indicatori di performance, le leve direzionali e le risorse disponibili in ciascun processo e manovrabili dai responsabili, e se non abbiamo contezza dei bisogni/servizi e degli outcome dei servizi erogati? Un metodo adeguato a supportare un’analisi dei fabbisogni di risorse e una eventuale riallocazione delle risorse umane richiederebbe un esame attento delle necessità della macchina burocratica e gli obiettivi che vuole raggiungere. Chi parla di eccessivo personale (esubero di personale nella P.A.), fa un discorso generico e poco conducente. Un discorso serio dovrebbe esaminare per bene le funzioni e i bisogni a cui fa fronte la pubblica amministrazione e quali sono gli outcome che vuole generare. Solo così si potrà fare una disamina seria. La chiave di tutto è la disorganizzazione della P.A.. La domanda corretta dovrebbe essere focalizzata su quale organizzazione sia necessaria per generare valore.
Oggi i politici parlano costantemente di tagli, di spending review, ma sono dei discorsi come accennavo prima vaghi e – se non sorretti da un adeguato metodo di analisi e diagnosi – decisamente insensati. Così per come sono impostati, rischiano di produrre un ulteriore impoverimento del sistema.

Sia il governo regionale che quello nazionale oggi sembrano più orientati a garantire delle politiche di trasparenza della pubblica amministrazione, piuttosto che anche (e primariamente) a sviluppare delle manovre serie atte a migliorare l’organizzazione interna alle amministrazioni. Che significato o che beneficio può avere in termini concreti rendere trasparente ciò che in realtà è assai opaco all’interno delle amministrazioni pubbliche? Denunciare gli abusi e garantire il servizio sono necessità sacrosante. Ma, una volta registrato l’abuso o individuata la carenza di servizio, come si fa a garantire una inversione di rotta, se le cause di tali fenomeni sono ascrivibili anzitutto alla carenza di amministrazione manageriale e di raccordo tra direzione politica e gestione? Vorrei che i lettori facessero attenzione al tema, la questione della “legalità” e della “trasparenza” nella burocrazia è importante, ma non è sufficiente a cambiare le cose. Noi dobbiamo migliorare le performance e per far questo ci vuole prima di tutto un’organizzazione strutturata al miglioramento delle performance, in grado di analizzare i processi gestionali, di diagnosticare le disfunzioni amministrative e di rimuoverne le cause”.
Cosa potrebbe fare il Governo Regionale per contrastare questa crisi? Forse, vista la durezza della crisi e la carenza infrastrutturale potrebbe essere questa una buona occasione per investire in infrastrutture o lei la trova una proposta peregrina?

“Guardi, non vorrei insistere, ma mi viene in mente una simpatica metafora utilizzata da Peter Senge: “Tre ciechi incontrano e toccano un elefante. Toccando l’orecchio, uno esclama: “è una grossa curva ruvida, larga e ampia, come un tappeto”. Toccando la proboscide, l’altro afferma: “è un tubo dritto e vuoto”. Toccando la zampa, l’altro ancora dice: “è forte e fermo come un pilastro”… Cosa voglio dire che quando non si riesce ad avere una visione d’insieme, si procede a tentativi, ma senza un sistema dietro è impossibile risolvere il problema e gli sforzi per il raggiungimento dell’obiettivo sono vani. Il governo mi ricorda molto i tre ciechi: dato il loro modo di apprendere, questi uomini non conosceranno mai l’elefante…”.
 E’ vero che non ci sono fondi disponibili per attivare uno sviluppo regionale, ma se riuscissimo a coordinare le azioni di vari enti penso: ai Comuni, alle provincie, ai consorzi e alla Regione verso pochi è concludenti obiettivi, potremmo ottenere dei risultati straordinari. Lei è docente di System Dynamics per la strategia aziendale, tale tecnica potrebbe essere applicata con successo anche nella macchina pubblica?

“La System Dynamics è un metodo che può essere applicato sia nel pubblico che nel privato. Nasce per gestire sistemi dinamici complessi, dove non esiste una sola soluzione ai problemi, ma sono esplorabili diversi scenari alternativi. Applicando questa metodologia, è possibile individuare i risultati finali e i ‘driver’ dai quali essi dipendono e, a monte di questi, le risorse strategiche da governare e coordinare a sistema per influenzare la performance in ottica di sostenibilità. La System Dynamics, coniugata con la gestione della performance organizzativa, potrebbe essere uno dei pochi metodi efficaci o forse il solo attuabile per il coordinamento degli sforzi finanziari dei singoli enti pubblici. Personalmente ho applicato con successo questo metodo di lavoro a diverse realtà pubbliche e private, sia in prospettiva di ricerca che in prospettiva applicativa. Per esempio, ho recentemente avviato un progetto con un collega del Baruch College di New York per l’utilizzo della System Dynamics come metodo per supportare le disfunzioni nell’utilizzo dei sistemi incentivanti e di valutazione della performance, con riferimento ai servizi di polizia. A tal fine stiamo analizzando l’esperienza della polizia di New York. Con un altro collega che coordina il dipartimento di Public Administration dell’Università del North Carolina (USA) stiamo lavorando sull’applicazione della system dynamics per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi di smaltimento dei rifiuti in ambito comunale.
La System Dynamics è compatibile con l’autonomia dei singoli enti pubblici? Non rischia di diventare una pianificazione troppo dirigistica?

“Questa è un’osservazione interessante: lo sviluppo di modelli di System Dynamics si basa proprio sulla esplicitazione delle conoscenze tacite dei diversi decisori coinvolti con riferimento al tema da analizzare. Coloro i quali sviluppano il modello operano i modo da costruire su quella conoscenza e valorizzarla. Il modello non serve per conoscere “la soluzione”, ma per aiutare i decisori a ragionare e articolare l’analisi intorno a diverse possibili vie alternative per affrontare n problema che non ha una e una sola soluzione. Spesso la soluzione più facile nel breve andare si dimostra illusoria nel lungo andare. Altre volte, soluzioni con risultati attesi assai suggestivi e lusinghieri nel lungo andare si dimostrano poco sostenibili nel breve andare. Altre volte ancora, soluzioni eccellenti per migliorare i risultati di un ambito d’azione (ad esempio di un settore economico) si dimostrano lesive per un altro ambito (es.: industria verso turismo). Solo valorizzando e potenziando la capacità dell’organizzazione di analizzare e diagnosticare i problemi, adottando un metodo sistemico e in grado di cogliere il peso dei ritardi temporali, si potrà avere un vantaggio sostenibile nella soluzione di problemi apparentemente insormontabili”.

Eugenio Catania

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