Parla il questore Cortese, da stragi del ’92 a oggi «La città è cambiata ma si paga ancora il pizzo»

«Fare il questore a Palermo significa avere la consapevolezza che si tratta di un incarico impegnativo, gravoso, ma anche pieno di stimoli. Significa essere consapevole che le scelte che si fanno quotidianamente influiscono sulla convivenza pacifica e sul senso di sicurezza di una comunità e questo riempie di significato il lavoro, portato avanti insieme a collaboratori straordinariamente validi, che hanno la responsabilità di decine e decine di uomini». Renato Cortese la città la conosce bene. Arriva qui la prima volta subito dopo le stragi. Assegnato alla Questura di Palermo ricopre l’incarico di dirigente della catturandi che lo ha visto protagonista di arresti eccellenti tra i quali quello del capo indiscusso di Cosa nostra Bernardo Provenzano. E ora, dopo 25 anni, torna in una Palermo profondamente diversa, nominata Capitale della cultura 2018. 

Palermo e la mafia – Il questore è arrivato – si diceva – la prima volta a Palermo dopo le stragi. Oggi la trova «cambiata in meglio. Chi come me ha vissuto qui nei primissimi anni ’90 ha visto una città dove era tangibile la paura, era deserta. Agli angoli delle strade vedere i militari con i fucili era un’immagine abbastanza brutta di una città in ginocchio, impaurita, spettrale. Oggi invece si vedono i turisti, le isole pedonali, il centro storico chiuso e c’è una movida – benché ci siano cose da correggere -. Cosa impensabile in quegli anni. Penso che sia una città cambiata, con voglia di cambiare ancora e soprattutto penso che  i palermitani vogliano viverla in modo normale». Per Cortese la generazione dei trentenni ha aiutato il cambiamento. «Non hanno incrociato la loro giovinezza con la violenza di quegli anni. I colpi d’arma da fuoco, i morti ammazzati, le sirene per strada. Sono cresciuti e vivono una città normale, senza quell’incubo e in un momento in cui lo Stato ha dato una risposta positiva e speranza. Questo lascia confidare nel fatto che prima o poi si possa archiviare la parola mafia, il percorso è ancora lungo. Ce la faremo».

«La gente ci identifica come coloro che intervengono quando c’è un reato per arrestarne l’autore, ma in realtà la gran parte del nostro lavoro è costituito dalla prevenzione di quest’ultimo – afferma -. Arrestare qualcuno è sintomo anche di un fallimento della nostra attività». Cortese sottolinea anche come alcune tipologie di reati siano diminuite. «Il sistema di prevenzione sta funzionando, è organizzato e funziona bene anche grazie alla collaborazione con i carabinieri. Il territorio è assolutamente controllato. Anche se ci si pensa due volte prima di dirlo, perché da parte dei cittadini c’è una percezione di insicurezza, anche legata ad esempio al fenomeno del terrorismo e degli sbarchi di migranti». Per Cortese «Palermo è una città sicura e bisogna essere vicini alla gente al di là dell’attività classica e istituzionale. Anche con la nostra presenza nelle scuole durante le iniziative di educazione alla legalità. Ma significa anche aprire un sito Facebook e sottoporsi al giudizio critico o accettare suggerimenti, dialogando con i cittadini».

Estorsioni – Alla domanda del perché una parte dei cittadini non riesca a fidarsi ancora dello Stato e paghi il pizzo Cortese risponde: «Questo me lo chiedo pure io. La realtà oggi è sotto gli occhi di tutti. Il pizzo continua ad essere pagato e non è giustificabile perché Palermo ha avuto dei cambiamenti forti. Non è più la Palermo di venti o di trent’anni fa. Non c’è più la forza della mafia che c’era allora e devo dire che c’è uno Stato che garantisce sicurezza, affidabilità. Ha dato prova e continua a dare prova di risposte forti sia in termini di arresti che di prevenzione e, ripeto, di affidabilità. Quindi oggi un commerciante che continua a pagare, nel 2018, in queste condizioni, in una Palermo del genere con uno Stato forte non è giustificato, come il fatto che si affidi alla mafia pagando il pizzo mortificando la propria attività di imprenditore. Se prima facevamo gli inviti a fidarsi e a denunciare, oggi non so come interpretare questa continua volontà di sottomettersi all’arroganza mafiosa pagando il pizzo».

Terrorismo – Tornando sulla percezione di insicurezza, il questore ricorda come questo sia un sentimento comune al resto d’Italia. «Non abbiamo minacce concrete anche se questo non ci fa stare tranquilli, perché ci può toccare in qualsiasi momento e perché si tratta di un nemico non conosciuto. Non soltanto per soggetti legati all’Isis ma anche per chi magari affetto da instabilità psichica può compiere gesti del genere. Per cui stiamo particolarmente attenti anche su Palermo, seppure – ribadisce – non ci siano minacce concrete e abbiamo un sistema di controllo di ottimo livello. Per questo ci sono le barriere di cemento sulle isole pedonali o c’è una particolare presenza di forze di polizia o personale preparato per l’antiterrorismo in giro per la città, che a volte non è visibile, ma c’è. Siamo fiduciosi di poter garantire un adeguato livello di sicurezza».

Daspo urbano  è un provvedimento che dà la possibilità in qualche modo di contrastare il degrado e il disordine che si verificano in certe aree delle grandi città. «Ad esempio nelle aree della movida sono presenti persone condannate per spaccio di stupefacenti – spiega Cortese -. Per loro si può intervenire tenendo conto del fatto che se una persona ha già avuto delle condanne definitive può inibire la sua permanenza in aree così delicate. Lo stesso vale anche per i parcheggiatori abusivi, ma questo a prescindere dalle condanne. Se violano l’ordine di allontanamento, possiamo intervenire con il Daspo». Il questore sottolinea come si stiano ottenendo dei risultati, «ma stiamo ipotizzando ulteriori misure di sicurezza e di prevenzione che passeranno anche al vaglio dell’autorità giudiziaria».

Fake news – Il questore si è detto d’accordo con il nuovo incarico in capo alla polizia postale sul tema delle fake news: «Se si riesce a tranquillizzare l’opinione pubblica sul fatto che alcune notizie sono false e che tendono a pilotare erroneamente l’opinione pubblica, perché non farlo se abbiamo gli strumenti idonei?».

Unità e necessità – «Il numero di unità è assolutamente adeguato su Palermo – afferma Cortese -, però quello che serve non è tanto la quantità ma la qualità del nostro impegno. Stiamo lavorando in questo senso perché non è necessaria la presenza di un poliziotto ad ogni angolo di strada, ma in questo momento ognuno di noi deve aumentare la qualità del proprio impegno professionale, che significa accrescere anche la propria motivazione. Siamo tutti consapevoli che facciamo questo lavoro per passione. Ed è questo che ci fa sopportare determinati ritmi di lavoro, che ci porta a vivere con entusiasmo questo mestiere».

Priorità – È difficile, sottolinea infine Cortese, stilare una classifica delle priorità da portare avanti fino a quando ricoprirà l’incarico di questore. «Il nostro lavoro è dare sicurezza alla gente. Mentre i cittadini svolgono le loro normali attività quotidiane ci deve essere qualcuno, e siamo noi, che deve in qualche modo assicurare che queste persone possano convivere pacificamente, lavorare serenamente. Devono sapere che c’è un poliziotto che pensa ad assicurare la loro tranquillità. E noi ci siamo sempre. La maggior parte dei nostri interventi sono di non strettissima competenza. Il più delle volte facciamo gli assistenti sociali, i mediatori culturali, risolviamo controversie tra coniugi, ma lo facciamo volentieri perché sappiamo di dover essere presenti. Il cittadino ha in mente lo Stato. A volte sembra un’entità astratta ma in realtà quando il cittadino ha un bisogno impellente, un’emergenza, comunque avrà davanti un poliziotto che, anche con tutte le lacune possibili, sarà presente per risolvere i problemi e dare sicurezza». 

Stefania Brusca

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