La Palermo delle mille vertenze Dall’industria ai servizi il lavoro in bilico

Ci sono i lavoratori della Spelux che dal 10 settembre saranno licenziati. Quelli del Cantiere navale, che hanno visto chiudere l’altroieri la prima officina e che temono di ripiombare negli anni bui del 2012. E poi ancora gli operatori del call center Almaviva, che oggi pomeriggio durante una riunione a Villa Niscemi chiederanno garanzie sul loro futuro occupazionale. È la Palermo delle mille vertenze, con le saracinesche di negozi storici che chiudono e una crisi senza precedenti. Gli ammortizzatori sociali non bastano a tamponare l’emorragia di posti di lavoro, sempre più precari. Fronti diversi, ma un unico filo conduttore: una progressiva desertificazione industriale.

L’ultimo annuncio in ordine di tempo è quello della Spelux srl. La storica azienda palermitana che si occupa di commercio all’ingrosso e al dettaglio di materiale elettrico ha avviato lunedì la procedura di licenziamento collettivo per la riduzione del personale. Una ‘doccia fredda’ per i lavoratori anche se era una decisione nell’aria da tempo, a causa della crisi che ha colpito il settore dell’edilizia, principale “bacino” dell’impresa. «L’azienda – dice a MeridioNews Giuseppe Aiello, membro delle segreteria provinciale della Filcams Cgil Palermo – non versa in una situazione positiva da almeno l’anno scorso».

Già nel 2014, infatti, sono andati via in mobilità volontaria 35 dipendenti e il numero complessivo si è ridotto da 59 a 24 unità. Ora, però, l’ennesimo taglio, che ridurrebbe ancora il personale a 7 unità, un numero esiguo per la gestione nei due punti vendita di Palermo, quello di via Cesare Piazza e di via Villa di Filippina. I licenziamenti collettivi dovranno essere attuati entro il 10 settembre 2015. «In seguito alla crisi – prosegue il leader sindacale – già due punti vendita sono stati chiusi a Catania e Ragusa. Ufficialmente la procedura è partita e siamo ancora in una fase embrionale, ma ovviamente come Filcams Cgil il primo passo sarà la richiesta di un esame congiunto con l’azienda, per veder se esiste un modo per evitare questo doloroso passaggio».

Rimane da scoprire se l’impresa, pur fiaccata dalla crisi, è determinata nella sua decisione o esistono soluzioni alternative, ad esempio adottando qualche ammortizzatore sociale per scongiurare scelte più drastiche. «Noi – aggiunge – proveremo a garantire i livelli occupazionali ma loro vengono da un periodo di ammortizzatori sociali con una mobilità volontaria aperta e, alcuni se ne sono andati, anche se a malincuore. Ad ogni modo – conclude – ci batteremo per scongiurare il licenziamento dei lavoratori e per non assistere alla chiusura di una delle realtà storiche, nel campo del commercio, di Palermo».

Non va meglio per le tute blu del Cantiere navale. La prima officina ha già chiuso i battenti, quella navale ha solo un mese di attività. Colpa della mancanza di commesse e di «una politica assente», dice il rappresentante Rsu della Fiom di Fincantieri Palermo, Francesco Foti. Il sindacato punta il dito anche sull’azienda che «ha garantito fino al 2020/2025 tutti i siti italiani, escludendo dalla ripartizione dei carichi di lavoro solo la nostra città».

Le parti sociali annunciano battaglia. «Non accetteremo più ammortizzatori sociali e ridimensionamenti» dicono. Il 13 maggio scorso dalla commissione Attività produttive dell’Assemblea regionale siciliana presieduta da Bruno Marziano era arrivata una promessa. Alla presenza anche di Antonello Cracolici e dell’assessore regionale Linda Vancheri, i parlamentari avevano assicurato un decreto legge entro la prima settimana di giugno per stornare i 15 milioni di euro necessari alla progettazione del bacino da 80mila tonnellate. Una pezza utile a correggere il pasticcio della scorsa finanziaria, quando gli inquilini di Sala d’Ercole avevano bocciato l’emendamento che stanziava quei fondi. «Oggi è il 16 giugno e non abbiamo avuto risposte, né dall’assessore, né dalla commissione» denuncia Foti.

Eppure senza il bacino da 80mila tonnellate Fincantieri ha già fatto sapere di non poter garantire per Palermo nuovi carichi di lavoro. Né ovviamente i livelli occupazionali. Una presa di posizione che per il rappresentante Rsu della Fiom di Fincantieri Palermo è «inammissibile» per un’azienda a partecipazione pubblica. «E nello stesso tempo – dice Piastra -, contestiamo l’assenza di scelte di politica industriale da parte del Governo regionale, che non sta mantenendo gli impegni né sul bacino per l’offshore da 80mila tonnellate, per il quale non è stato ancora siglato l’accordo quadro col Mise, né sull’altro bacino da 150mila tonnellate, per il quale sono in corso lavori di bonifica e si è in attesa di un incontro con il ministero delle Infrastrutture».

Cambia il settore, ma resta la crisi. L’8 aprile scorso, quando è stato firmato l’accordo di solidarietà per un altro anno, per tutti i siti nazionali, che scongiurava il rischio del licenziamento anche per i 1.500 dipendenti della sede palermitana di Almaviva, per Palermo c’era l’impegno dell’azienda a cercare assieme alle istituzioni locali una nuova sede per garantite la piena produttività al sito. «Ma poi ha deciso di proseguire in modo unilaterale» spiegano i sindacati. Così tutti i siti, anche le sedi di Palermo e Catania di Almaviva, rispettivamente il 12 giugno e l’8 giugno, hanno proclamato lo stato di agitazione.

Oggi pomeriggio alle 16 a Villa Niscemi è in programma un incontro tra la società, l’Amministrazione comunale e i sindacati per delineare gli scenari futuri del call-center a Palermo. «Riteniamo importante che l’azienda si presenti» dice il segretario Slc Cgil di Palermo, Maurizio Rosso. Per lui il comparto dei servizi è «in piena crescita ed è per questo che ravvisiamo la necessità di un serio ragionamento con le istituzioni per metter in campo una politica industriale, fino a oggi inesistente. Saremo all’appuntamento con la volontà di costruire un rapporto simbiotico tra sindacato, azienda e istituzioni politiche, che produca occupazione sul territorio».

«Il sindacato – hanno spiegato nei giorni scorsi le segreterie provinciali e le Rsu di Slc Cgil, Uilcom Uil, Ugl telecomunicazioni – ha ben chiare le problematiche strutturali poste dall’azienda e ha già dato disponibilità ad aprire un confronto sulla produttività e la qualità del sito, ma non è sostenibile un livello di ricadute applicative così marcate frutto di esclusive scelte unilaterali che stanno implodendo su tutto il territorio nazionale. Ci sembra del tutto evidente che tutto ciò non debba avvenire nello spregio delle norme, degli accordi e del ccnl».

Rossana Lo Castro

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