La nuova vita di Marco comincia dal Gar «A Catania mi sento a casa, resterò qui»

«Fuori posto è il mio posto». Marco, con la ragazza che gli sta accanto e i loro animali, era stato sgomberato pochi giorni fa dalla villa abbandonata che aveva occupato e trasformato in una fattoria improvvisata, in via Roccaromana. Lunedì gli sono state date le chiavi del Gar, un giardino sociale in cui potrà vivere secondo il suo credo di naturalista vegano: «Piantare alberi per fare tornare il mondo come era all’origine dell’uomo, quando è stato creato da Dio».

Lo spazio che gli è stato concesso è una mattonella di verde incastrata tra i palazzoni grigi, alti anche dieci piani, che stanno attorno alla caserma dei pompieri di Catania. «È solo un punto di partenza. Attorno ci sono tanti terreni abbandonati in cui potere coltivare piante e ortaggi». Con la rendita che gli arriva mensilmente dalla Danimarca – dove gli è stata riconosciuta la pensione per infermità mentale – Marco stavolta ha comprato decine di alberelli da frutto e semi: ciliegi, meli, peschi, limoni ma pure broccoli, basilico, melanzane. «Voglio regalarli alla gente, perché li pianti dove vuole, dove trova spazio. Per ricordare a tutti che le nostre radici, quelle che il sistema vuole estirpare, devono restare nella terra».

Insieme a lui non ci sono più le sue papere, i suoi asinelli, le sue anatre e neanche i maialini rosa e neri che – fotografati mentre razzolavano nella spazzatura abbandonata fuori dalla villetta di via Roccaromana -, avevano destato tanto scalpore e indignazione sui social catanesi. «Qui ho potuto portare solo i miei cani, ma spero di poter comprare almeno delle galline – continua Marco – È finito un capitolo della mia vita, se ne apre un altro». Con un tetto sopra la testa, l’acqua corrente, l’energia elettrica e Cristina, la sua compagna di viaggi e degli ultimi tre anni e mezzo di vita: «Questa nuova sistemazione ci ha fatto bene. Siamo più felici e non meno liberi», anche se a delimitare il giardino del Gar dal mondo esterno c’è un recinto e un cancello di cui lui ha le chiavi.

Di padre catanese e madre danese, dall’età di 21 anni – dopo avere lasciato il suo lavoro d’ufficio – Marco ha girovagato per il mondo: Africa, Papua Nuova Guinea, America. Ma non sempre si è trovato bene: «Anche in Danimarca ho provato a fare una fattoria in città, ma mi hanno arrestato e messo in una clinica». A Catania, nonostante lo sgombero da parte della polizia e il sequestro degli animali ordinato dall’Asp, «non solo non sono finito in galera ma mi è stato dato un terreno – dice Marco – Qui ho trovato un popolo accogliente. E io mi sento a casa. Per questo ho intenzione di restare». Anche se non ha stabilito per quanto tempo: «Aspetto di vedere cosa nascerà dal seme che ho piantato in questa terra. Poi vorrei fare lo stesso anche nel Nord Europa, dove gli schemi del sistema sono ancora più forti».

Marco Di Mauro

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