«Travolto. Questa è la prima parola che mi viene in mente quando parlo di me. Travolto dalla gloria e dopo dalla prova». Inizia così il racconto del libro La gloria e la prova: il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0 di Totò Cascio, il bambino protagonista dell’indimenticabile capolavoro di Giuseppe – che lui chiama affettuosamente Peppuccio – Tornatore, vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero quindici anni dopo Amarcord di Federico Fellini. Dopo questo film, che nel ’91 gli procurò anche il prestigioso premio Bafta, Totò continuò a lavorare sia con Tornatore – partecipa a Stanno tutti bene, con Marcello Mastroianni, che con registi del calibro di Pupi Avati e Duccio Tessari. Tutto ciò fino al 1999, anno in cui firma il suo «ultimo film». Dopo di che, si può dire che Totò Cascio scompare. Perché?
Ai giornalisti che lo incalzavano per lungo tempo ha preferito far credere che il cinema si sia dimenticato di lui. È stata invece una grave malattia, la retinite pigmentosa con edema maculare, che gli ha procurato una perdita progressiva, irreversibile e quasi totale della vista, a farlo rinunciare a quella che era una carriera promettente e radiosa. Oggi, a 42 anni, Totò Cascio ha trovato la forza e la voglia di raccontare la sua esperienza in un libro che è insieme memoir cinematografico e racconto di formazione e di rinascita. Grazie alla fede, al suo coraggio e alla consapevolezza acquisita, ora può tornare a vivere una vita degna di essere vissuta ed «è questo il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0», dice scherzando.
«Il libro vuole avere come obiettivo – afferma a MeridioNews Cascio – un forte senso di responsabilità nei confronti della malattia e un invito ai giovani a riflettere. Abbiamo bisogno di condividere, unire e un forte senso di integrazione su cui ancora vi è tanto da lavorare. Non è stato facile affrontare questa malattia soprattutto quando hai avuto la fortuna di entrare dalla porta principale nel mondo del cinema. Io sono una persona fortunata. Ricordo ancora quando nel mio piccolo paese, Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, arrivò Giuseppe Tornatore. Venne nella mia scuola perché stava cercando un bambino che potesse interpretare un ruolo nel suo film. E dopo tanti provini scelse me. Immaginate la gioia per un bambino di quasi otto anni che è passato dai campetti di calcio ai set cinematografici. È stata un’esperienza incredibile per me e per la mia famiglia che di colpo ha dovuto gestire un successo enorme. Da lì in poi tante opportunità che mi hanno portato a calcare palcoscenici importanti».
Un successo enorme, ma la fama è stata offuscata dalla malattia. «Ricordo il dramma vissuto dai miei genitori nell’ascoltare la condanna – prosegue l’attore – lo stesso giorno in cui moriva Ayrton Senna, il 1°maggio 1994. Non è stata una malattia galoppante, ho guidato lo scooter e la macchina, senza patente in campagna, fino a 20 anni. Ho girato film, poi mi sono chiuso nella nebbia della mia vista. Ero ingabbiato in un labirinto di paure. Una gabbia fatta di insicurezze, un circolo vizioso. Una sensazione brutta, di vergogna, temevo il giudizio. Ne sono uscito con tanta difficoltà evitando per anni la psicoterapia. Non volevo sentirne parlare, dicevo che non ero un malato. Sbagliavo. Mi ha aiutato a vincere il senso di colpa. Ha risvegliato la voglia di vivere. Oggi voglio affermare che chiedere aiuto non è una vergogna anzi è la forma più alta di coraggio ed è una presa di consapevolezza».
Cascio adesso ha voltato pagina, ha cominciato a convivere con questa patologia che per anni l’ha tenuto lontano dalle scene e davanti a lui si aprono scenari inediti e importanti: «Ho avuto tante proposte di parti in film ma ho sempre rifiutato. Adesso sono pronto a ripartire. Il mio primo tempo è stato caratterizzato dalla parola travolto: dal successo per il film e dalla retinite pigmentosa. Poi ho messo ordine e ho dato il fischio d’inizio al mio secondo tempo e da qui ricomincia un nuovo corso della mia vita. Sto ricevendo nuove proposte per interpretare qualche film e adesso ci sto pensando sul serio». Così, rinato, lancia un segnale a chi è nella sua condizione: «Non nascondetevi, anzi imparate ad accettarvi. Senza accettarsi, ci si porta dentro l’avversario più feroce. Me lo disse anche Andrea Bocelli: “Totò, non è un disonore”. Sono state parole illuminanti.»
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