La musica è politica

“La musica è sempre un fatto politico perché nasce in una temperie culturale e anche quando la canzone è priva di contenuti profondi è comunque specchio di una società disimpegnata; […]un rapporto costante fra musica e politica non solo esiste, ma è giusto che ci sia, anzi va sempre considerato”.

 

Con queste parole la professoressa Abbadessa, cattedra di Storia della musica presso la facoltà di lingue a Catania, risponde alla domanda: “Qual è il confine fra musica e politica?E soprattutto, esiste?E’ necessario che ci sia?”.  In altri termini, secondo quanto afferma la prof., la musica ha sempre una valenza socio-politica poiché esprime la visione della realtà in quel preciso momento storico.

 

E’ per questo che musica e politica sono strettamente connesse e non esiste confine alcuno tra le due cose.

 

Piuttosto la musica, insieme con altri elementi culturali, andrebbe vista come una chiave d’interpretazione del contesto in cui nasce e di cui è parte.

 

L’idea di contattare la prof. Abbadessa, è nata dalla decisione di scrivere un articolo il cui tema fosse”musica e politica”, prendendo spunto dal corso: ”Musica e comunicazione: la storia cantata”, tenuto appunto dalla giovane docente presso la nostra facoltà.

 

Il corso,già iniziato,copre un periodo che va dal mese di marzo a quello di maggio e la cui frequenza attiva consente l’acquisizione di tre crediti formativi. Nei diversi ruoli connessi alle capacità e le inclinazioni di ognuno,prendendo spunto da un canovaccio di partenza, i ragazzi lavorano,con l’aiuto della prof, per produrre uno spettacolo finale che racconti la recente storia italiana attraverso le canzoni dell’impegno politico. A questo scopo saranno analizzati i temi,le forme,gli stili,le problematiche socio-politiche nel ventennio 1970-1990 attraverso una rassegna dei cantautori italiani di seconda generazione:Guccini,De Gregori,Conte,Gaber,Gaetano,De Andr腠  

 

Purtroppo una delle considerazioni di partenza da cui è scaturita l’idea di fare quest’attività di laboratorio è quella secondo cui, a parere degli organizzatori, i ragazzi sconoscono molte cose,forse troppe, che invece dovrebbero sapere.Ma questo non solo nel campo della musica,anche in quello della letteratura,della storia,del cinema del teatro…Il giudizio della prof. è stato molto severo a riguardo.

 

Da parte mia non posso non ammettere che,nel mondo giovanile, una certa”disconoscenza”, causa un disinteresse diffuso, c’è ed è innegabile.Il disinteresse è spesso dettato dalla superficialità, quella che poi ritroviamo anche nella musica.Mi riferisco chiaramente alla musica “commerciale” del livello di “Sole, cuore, amore” o “Il gatto matto”, tanto per fare degli esempi…Purtroppo questa è la più trasmessa nelle radio e quindi anche la più ascoltata e conosciuta.E’ chiaro che questo tipo di “canzone vuota”, è il riflesso di una società, o per lo meno di una sua parte, altrettanto scevra da ideali e contenuti.Non che la musica commerciale sia tutta da scartare o completamente priva di significati profondi.Però emerge chiaramente come l’esasperato individualismo che dilaga nel sociale, permea anche la canzone.E se dei contenuti ci sono, riguardano quasi sempre il privato più che il pubblico.Sembra non esistere più la voglia di lottare per le “cause comuni”. Forse siamo portati a pensare, e a torto devo dire, che tutte le battaglie che c’erano da combattere sono già state combattute, che le conquiste più importanti sono già state ottenute…E ci adagiamo su ciò che già esiste come fosse scontato.Così ognuno pensa a sé e al suo!

 

Beppe Carletti, dei vecchi nomadi, durante un’intervista radio fattagli proprio dalla prof. A.,ha affermato che, se la loro vecchia canzone era così pregna d’ideali sociali e poco si parlava del privato, è perché, allora, il loro privato era il pubblico.Adesso non è più così!

Credo che il nocciolo della questione stia proprio qui.Le cose sono così profondamente cambiate perché il contesto in cui si svolgono è profondamente mutato.Le questioni socio-politiche negli storici anni della “rivolta”, dal sessantotto in poi, erano così sentite perché s’intrecciavano con la vita privata della gente comune, perché entravano nella casa del popolo, perché toccavano una generazione che voleva il riscatto dalla guerra e dalle ingiustizie ingiustamente subite.In fondo potremmo dire che la contestazione giovanile di quegli anni, in Italia, per molti era un fatto di necessità anzitutto.

 

“[…] Portavo allora un eskimo innocente, dettato solo dalla povertà…”, canta Guccini in uno dei suoi capolavori.Le sue parole, più incisive delle mie, rendono forse meglio l’idea di cosa significasse allora “lotta politica”: riscatto dalla povertà.Ma ci si credeva davvero nelle cause sociali per le quali si lottava, sino a morire nei casi più estremi…In Sicilia basta fare un nome: Peppino Impastato.

 

Il mondo di adesso è diverso, noi siamo diversi, gli stimoli intorno a noi sono diversi…

Ai giovani che hanno tutto e hanno visto di tutto, manca la curiosità, la voglia di conoscere e di dire, fare e reagire.

Siamo prigionieri di noi stessi e di un’ignoranza sottovaluta.

 

Ma una cosa va detta, credo, “a difesa” dei giovani: non è forse un’ardua impresa uscir dall’irrigidimento di una forma mentis che si è inconsciamente, col tempo, formata dentro di noi sotto l’influenza, ahimè, di modelli proposti e riproposti in maniera così pressante da sembrare i soli esistenti o comunque i migliori?

Mi spiego meglio.Il ragazzino che cresce bombardato da certi stereotipi che martellano da ogni parte, dovrebbe anzitutto essere messo nella condizione di liberarsene e aprire, così, i suoi orizzonti.Cosa che può esser messa in atto solo attraverso un’adeguata educazione.

 

Una domanda, credo legittima, a questo punto sorge spontanea: ma, il mondo adulto che si dice così preoccupato per le nuove generazioni contro cui punta sempre il dito contro, agisce concretamente per favorire un miglioramento della situazione?E le istituzioni?La scuola primaria e secondaria che forma il ragazzo negli anni fondamentali per la sua crescita, si sta movendo in tal senso?Offre modelli d’insegnamento sani e da imitare, o magari concede troppo spesso e con troppa facilità, il “lascia passare” a chi non lo merita?D’altronde non si spiegherebbe diversamente come tanti studenti giungono all’università in “condizioni precarie”…

 

I giovani mancano di punti di riferimento concreti, di qualcosa, forse qualcuno, che possa indirizzarli da una parte piuttosto che da un’altra.Mancano i mezzi attraverso cui

rendersi conto che d’alternative migliori, rispetto a quelle dominanti, n’esistono e come.In una parola manca la cultura autentica, unico vero garante di libertà.E’ una libertà che fa a pugni con un mondo che va decisamente nella direzione opposta.Certo da parte nostra dovremmo “darci una mossa” e non aspettare che caschi la manna dal cielo! 

 

Oggi, come ha fatto giustamente notare la professoressa A., abbiamo più mezzi e maggiori possibilità di scelta rispetto alle generazioni passate: dal videoregistratore per la cinematografia (e quindi le varie attività di noleggio e vendita di film in video cassetta), ad internet per tutto il resto, dalla musica alle immagini, per i video, le recensioni, notizie… e di tutto di più!

Tutte possibilità in più rispetto al passato che pure non sfruttiamo, almeno non abbastanza…

 

 

 

“M innamoravo di tutto” è il titolo dell’ultimo album (1997) di De Andrè.Vorrei imparassimo anche noi ad amare ogni cosa, a non considerarla scontata o dovuta, che in noi nascesse il desiderio della scoperta, della conoscenza di tutto ciò che è intorno a noi ha commentato ancora la nostra prof. E’ ciò che ci permette di discernere il bene dal male e magari fare scelte migliori. E soprattutto vorrei che fossimo capaci di sognare come lo si era un tempo…

 

Il non essere indifferenti a ciò che ci sta intorno non solo è la chiave d’accesso alla libertà individuale ma anche a quella collettiva.E’ per questo che ad un certo punto assume un valore di dovere morale.

 

Per concludere vorrei citare le parole di Guccini estrapolate dall’album “Bovary”.La canzone cui mi riferisco s’intitola “Keaton”.C’è una strofa in cui si dice che tra loro, allora giovani, ” […] parlavano di com’era importante non essere solo musica e parole, di com’era importante che la gente non fosse un massa di persone sole.”

 

E’ questo ciò cui mi riferisco quando parlo di dovere morale collettivo, un dovere al quale dobbiamo assolvere per non sentirci ”una massa di persone sole”!

 

E’ retorica sentita e risentita la mia?!Non lo so fate voi…Forse vuole essere una provocazione per quanti su tale questione e in questi termini non ci avevano mai riflettuto.

 

Una provocazione e insieme un voler incitare al “risveglio”!

 

Alle porte delle elezioni studentesche, quale momento e occasione migliore per fare questo tipo di riflessione.Forse è il momento, per chi non l’avesse ancora fatto, di prendere coscienza di noi stessi, del nostro potenziale, della nostra identità politica, sociale e personale.Tanti hanno le idee già molto chiare, altri credono d’averle e molti altri ancora sono un po’ confusi come me…Il vantaggio d’essere giovane sta proprio in questo…PER NOI non è ancora troppo tardi per cercare di capire!

 

Stefania Placenti

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