Boss of bosses, parrain des parrains, chefe dos chefes, capo de capos. La notizia della morte di Totò Riina ha fatto in breve il giro del mondo. Su tutte le principali testate giornalistiche estere campeggia la foto dell’ultimo dei corleonesi accompagnata dall’appellativo che ha dato il titolo alla fortunata serie Tv che narra l’ascesa del boss. Un legame, quello tra la figura di Riina e le trasposizioni filmiche della mafia, che è quasi indissolubile per chi guarda il nostro Paese da fuori.
Nel corpo del testo, tuttavia, poco spazio al ricamo del racconto romanzato e molto alla storia. Alla spiegazione di chi era Totò ‘u Curtu, l’uomo dai 26 ergastoli e alla scia di sangue che ha segnato gli anni ’80 e ’90 in Sicilia. Si parla in particolare, sempre delle stragi di Capaci e via D’Amelio. «Tutti qui dicono la stessa cosa – spiega Antoine Hariri, giornalista di Le Matin Dimanche, quotidiano svizzero – che è stato il mandante delle stragi in cui sono morti i giudici Falcone e Borsellino, che non si è mai pentito e che ultimamente si era sollevato il dibattito sulla sua scarcerazione». Gli fa eco Thimi Samarxhiu, collega della Tv albanese Top Channel: «In Albania si è dato molto spazio alla notizia – racconta – sul nostro Tg gli è stato dedicato un servizio da un minuto e mezzo in cui si è parlato molto delle stragi degli anni ’90. D’altra parte noi la mafia l’abbiamo conosciuta in quel periodo».
«L’Albania – continua Samarxhiu – è cambiata dopo la caduta del comunismo, proprio negli anni ’90. È stato allora che ci è stato consentito di guardare anche la televisione italiana e abbiamo appreso del fenomeno mafioso grazie a La Piovra, la serie con Michele Placido. Poi sono arrivati gli attentati e ancora altre rappresentazioni sceniche, dal Padrino di Francis Ford Coppola al Capo dei Capi». E proprio la trilogia del regista italo-americano ha contribuito oltre ogni misura a rendere nell’immaginario di tanti stranieri – e non solo – la mafia come un fenomeno permeato di un suo strano fascino fatto di codici d’onore, regole e rituali. «Non sono preparato sull’argomento, non ne so abbastanza per farmi un’idea ben precisa», risponde a MeridioNews Ben Taub, giornalista statunitense del New Yorker, che tuttavia ironizza: «E poi non ho neanche visto Il Padrino».
La morte del boss, malato e rinchiuso in un carcere, tuttavia, potrebbe essere servita da sveglia, avere contribuito a dissipare l’aura di eroismo che ha avvolto anni di mafia da fiction. «Gli anglosassoni sono affascinati dalla mafia e la morte del suo capo sta avendo molta copertura da parte dei media – spiega Mark Berensford, giornalista freelance inglese, corrispondente del Telegraph – La mafia nel Regno Unito e negli Usa è romanzata, ma Totò Riina ci ha mostrato la realtà, che non è così romantica, né così sexy o così cosmopolita».
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