«Il parlare come antidoto contro la vertigine». Con questa frase Gianrico Carofiglio, magistrato e scrittore barese, ha cominciato venerdì mattina la presentazione del suo romanzo “Né qui né altrove – una notte a Bari”, tenutasi nell’aula magna di Scienze politiche di Catania. Presenti, oltre al preside Giuseppe Vecchio, l’avvocato Anna Ruggeri e la professoressa Francesca Biondi, docente di Storia delle dottrine politiche.
Vecchio ha affermato che il libro di Carofiglio costituisce «uno spaccato di storia contemporanea» e ha sottolineato come il “parlare” dei protagonisti sia «un’abitudine tutta italiana di cui ci sentiamo fieri». Ma è stata Anna Ruggeri – in un intervento condotto, ha poi detto l’autore, «con precisione filologica» – a presentare al pubblico i passi chiave del romanzo. «I personaggi del racconto vivono in un passato senza amore, senza allegria», ha detto la Ruggeri. La professoressa Biondi ha sottolineato il fatto che «l’io narrante è quello che maggiormente vuole andar via da Bari verso dei posti liberi, in cui sentirsi libero e vivere secondo la propria natura». E si è poi soffermata sui giovani protagonisti: «una realtà piena di disagio, rancore, affetto contamina la loro giovinezza».
La trama del breve romanzo è semplice e lineare. Tre amici si incontrano, dopo tanto tempo, per le strade di Bari e ricordano i momenti passati, le loro esperienze, la loro crescita. In questa vicenda è presente una quarta protagonista, ovvero Bari, la città. Non è solo uno sfondo: rappresenta qualcosa di mistico, universalmente metafisico, in cui rivedersi. È così che il lettore, giovane o avanti con gli anni, si immedesima, si sente parte nei sogni, nelle speranze, nelle azioni narrate.
Dopo questi interventi è stato il turno di Carofiglio, che ha spiegato come il libro sia andato trasformandosi via via che lo scriveva: «i personaggi rendono quest’opera una storia sulle emozioni e non una storia sulla città, come avevo pensato in principio. Non è un libro autobiografico, anche se molti episodi fanno parte della mia vita, del mio passato». Carofiglio ha incentrato la discussione sull’importanza dello scrivere, sulla letteratura, affermando che «il raccontare storie è come entrare in una stanza buia: la scrittura ha a che fare con il mistero». Ma le domande della platea hanno indotto anche ad andare oltre l’occasione del libro, per riflettere su temi di attualità. Una discussione ampia e appassionata, condotta un po’ citando Adorno e un po’ parlando del rapporto tra politica ed etica. «La forma più alta di moralità – ha detto Carofiglio – è non sentirsi a proprio agio nemmeno a casa propria». E il dibattito si è spostato sul tema del testamento biologico. Carofiglio, che è senatore del Partito Democratico, ha espresso il suo pensiero sul diritto alla vita: «Immaginiamo che un individuo, dopo un terribile incidente, rimanga tetraplegico, non possa deglutire e che il medico debba aprire il suo stomaco per inserirvi un tubo. Se questo paziente non vuole, il diritto alla vita sta proprio nel rispettare le volontà dell’ammalato, il quale può liberamente decidere se essere curato in quella maniera o no».
Al dibattito ha partecipato anche il senatore Enzo Bianco, che con un breve intervento ha ringraziato Carofiglio raccontando di essersi spesso rivisto nei suoi libri. L’incontro, piacevole e dinamico, segnato spesso dalla compiaciuta ironia dello scrittore, è stato molto apprezzato anche dal pubblico studentesco. Al termine del dibattito, una folla di giovani studenti si è diretta verso Carofiglio per farsi autografare la copia del libro. E lui, forse per abitudine, forse per sincerità, li ha accolti sorridendo.
Si esce dalla sala ripensando ai temi della discussione, al passato senza amore, senza allegria in cui vivono i protagonisti del libro, alla giovinezza contaminata dalla tristezza, alla voglia di andar via, al non sentirsi al proprio agio nemmeno a casa propria, alla lucida vertigine tra spazio e tempo. E si esce, dall’incontro con questo autore, decisi ad andare a comprare il suo libro.
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