La messa per Mussolini e l’apologia del fascismo Il giurista: «Oggi non è percepito come pericolo»

Una messa, quella per ricordare l’anniversario della morte di Benito Mussolini, che come ogni anno scatena diverse reazioni. Da una parte gli organizzatori, tra cui online figura il coordinatore meridionale di Forza nuova Giuseppe Bonanno Conti, che in occasione della 70esima ricorrenza si incontreranno nella chiesa di piazza Della Guardia. Dall’altra gli antifascisti, tra i quali il gruppo che si firma Antifa, che hanno disegnato sul muro di Santa Maria della Guardia la scritta «Fasci merde» e lasciato sul sagrato alcune bottiglie di urina. Fonti della polizia hanno assicurato che sull’episodio indaga la Digos. Ma ogni anno, tra le polemiche, sono in tanti a chiedersi se in casi come questi sia applicabile il reato di apologia del fascismo. Sempre sentito nominare, ma mai visto applicare. «È ancora in vigore», conferma Ernesto De Cristofaro, docente di Storia del diritto medievale e moderno dell’Università di Catania che si è occupato del tema.

«Il reato, conosciuto come legge Scelba, è stato istituito nel 1952 e attua la disposizione della Costituzione che vieta la riorganizzazione del partito fascista». Ma fin dall’inizio «è stata oggetto di procedimenti finiti anche davanti alla Corte costituzionale». Al divieto di apologia dell’ideologia fascista, è stato contrapposto il diritto di libertà d’opinione. «In alcuni processi venne portata avanti questo tipo di difesa – racconta De Cristofaro – La corte disse che in linea di principio è garantito il diritto di parola, ma questi atteggiamenti, che possono sembrare folkloristici, non sono innocui. Possono rappresentare un primo gradino, delle premesse alla ricostituzione del partito». Secondo la giurisprudenza, dunque, «dobbiamo anticipare quelle soglie, quegli atti che costituiscono le basi di simpatia che possano permettere all’ideologia fascista di ricostituirsi». La legge Scelba «in realtà non limita la libertà d’opinione – sottolinea il docente – La mia libertà di pensiero finisce quando viene messa in discussione la pace».

Tutto questo, però, in un periodo storico nel quale «chi portava camice nere o faceva pellegrinaggi a Predappio (la città romagnola dove nacque Mussolini, ndr) avrebbe anche potuto essere fucilato in piazza». Secondo De Cristofaro, oggi «c’è un indebolimento di quella sensibilità. Negli anni ’50, alla fine della guerra, c’era un corpo appena guarito da una febbre violentissima. Dopo 70 anni, drammaticamente, i ragazzi non sanno quello che è successo nel nostro Paese». Come precisa il docente, «fare il saluto romano è considerato un estremo per aprire un fascicolo. Ma non viene avvertito più come un pericolo». Di conseguenza il principio alla base della legge Scelba viene meno. «I reati di pericolo hanno un margine, una discrezione da parte di chi li persegue. Quello che per un giudice può essere una manifestazione pericolosa, per un altro può non esserlo». 

Così può avvenire che in una sentenza il saluto romano sia un «gesto che istiga all’odio razziale, cioè che sconfina nell’istigazione alla violenza», mentre in un’altra si decida l’assoluzione. «Diverso è il caso in cui una persona fa apologia del fascismo in televisione – prosegue il professore – In quel caso il mezzo di comunicazione è molto più ampio, la sua risonanza diversa». «Se tutte le volte in cui c’è un raduno politico di estrema destra dovessero partire indagini penali nei confronti di persone che sfilano col braccio teso o con bandiere con croci celtiche, ci sarebbe una quantità enorme di procedimenti aperti». Anche se si tratta di «partiti che utilizzano linguaggi e simbologie che riportano al fascismo, che rivendicano quella continuità storica, non credo che oggi ci sia lo stesso livello di guardia. Penso dipenda dal fatto che la sensibilità nel tempo si è diluita». 

La funzione di oggi, secondo Catania bene comune, dovrebbe essere bloccata con un intervento da parte dell’amministrazione comunale. «Questa sera in una chiesa della città si celebrerà una messa che ricorda l’assassino dittatore razzista italiano», scrivono in una nota. Nel caso specifico, però, il quadro si complica ulteriormente. «La celebrazione di una messa non è sicuramente un reato – premette il giurista – A seguito dei patti Lateranensi prima e del Concordato dopo, inoltre, l’interno di una chiesa potrebbe non essere considerato un luogo pubblico, ma un luogo aperto al pubblico, che è cosa diversa. E, considerato che la legge Scelba punisce solo le manifestazioni pubbliche, potrebbe non essere applicata». Caso diverso, almeno in teoria, sarebbe se un saluto romano avvenisse appena fuori dall’edificio religioso. «Se qualunque cittadino denunciasse, la mia idea è che oggi non verrebbe nemmeno aperto un fascicolo», conclude De Cristofaro.

Carmen Valisano

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