La strategia dell’inabissamento, tanto cara a Bernardo Provenzano, per entrare, quasi in silenzio, nel settore economico. Senza rinunciare alla cooperazione nel nome della parità di genere. Sono le caratteristiche che contraddistinguono la mafia nella città di Catania e nella provincia etnea. Uno spartito che viene messo nero su bianco nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia, che analizza dinamiche e operazioni che hanno caratterizzato il primo semestre del 2017. Accanto alle storiche famiglia di Cosa nostra, Santapaola, Ercolano e Mazzei, c’è la cosca dei Laudani e quella dei Cappello. Quest’ultima, stando al periodo di riferimento del documento, viene data in forte espansione nel territorio di Siracusa e non solo. A Catania, non è un mistero, i seguaci del boss Salvatore Cappello da diverso tempo provano a spodestare dal trono di egemoni addirittura la famiglia Santapaola. Lontane le fibrillazione di una possibile guerra di mafia, come stava avvenendo poco prima del blitz Revenge del 2010, agli ordini dei Cappello sono confluiti i gruppi dei Pillera, Sciuto-Tigna, Cursoti, Piacenti e Nicotra Tuppi.
Sempre più importante è il ruolo delle donne. Con posizioni predominanti
Secondo le ormai consuete mappe fornite dall’organismo investigativo nella città di Catania le squadre dei Santapaola continuerebbero a mantenere le tradizionali roccaforti nei quartieri Picanello, San Giovanni Galermo, Civita, Librino e Zia Lisa. I Cappello avrebbero consolidato il loro ruolo a Monte Po, un tempo regno di Cosa nostra con la famiglia Steano, Cibali, Nesima, San Berillo e San Cristoforo. Il resto delle cosche si dividono gli altri spazi: a piazza Cavour, zona Borgo, sono attivi i Pillera mentre Canalicchio è sotto il controllo dei Laudani. Per quanto riguarda la provincia i Santapaola continuano a organizzarsi in gruppi, mantenendo il potere tra Palagonia, Bronte, Acireale e Aci Catena. Tra Maletto, Randazzo e Bronte sono presenti anche i Mazzei mentre i Cappello continuano a insistere nella zona di Catenanuova, provincia di Enna, e Portopalo di Capo Passero nel siracusano.
«Sempre più importante appare il ruolo delle donne – si legge nella relazione della Dia – con posizioni predominanti in seno alla compagine criminale». La carta al tornasole è la figura di Maria Rosaria Campagna, moglie di Salvatore Cappello. Il boss, nonostante la detenzione al carcere duro, avrebbe continuato a gestire il suo clan grazie alla complicità di Campagna che «veicolava informazioni da e per il penitenziario», si legge nei documenti dell’operazione Penelope. La stessa che ha fatto scattare le manette per Massimiliano Salvo, ritenuto dagli inquirenti un boss in forte ascesa nonché rampollo dello storico capomafia Pippo ‘u carruzzeri. I settori in cui la mafia ripone maggiormente i suoi tentacoli sono quelli ormai noti: «Settore edilizio, appalti, trasporti – in particolare quelli su gomma -, le reti della grande distribuzione, l’agroalimentare, le scommesse clandestine, le energie alternative, lo smaltimento dei rifiuti e la gestione delle discariche», continua il rapporto. Su questi ultimi punti si è concentrata l’operazione antimafia Piramidi, conclusa a marzo 2017 dai carabinieri. Al centro di tutto ci sarebbe stata la discarica di Melilli, in provincia di Siracusa, e gli imprenditori Carmelo e Antonino Paratore.
Continuando nell’analisi diversi i riferimenti nella relazione semestrale al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Ambito in cui i clan continuano a investire ingenti quantità di denaro. Tra le operazioni dalla portata maggiore spicca quella denominata Orfeo, sulla squadra dei Santapaola nel quartiere etneo Picanello. Al vertice del gruppo ci sarebbe stato Giovanni Comis, recentemente condannato in primo grado a 13 anni e 8 mesi. Un terreno che resta ancora difficile da indagare è quello delle estorsioni. Condotta che spesso gode della complicità delle vittime con le mancate denunce e i casi di vero e proprio «favoreggiamento». La mafia in questo settore si è evoluta e fa sempre meno ricorso alle richieste di denaro: «Spesso le estorsioni sono camuffate da imposizioni di prezzi, forniture o servizi, dalla forzata assunzione di dipendenti o dai subappalti nei lavori». Le vittime, inoltre, rischiano di finire nel vortice dell’usura.
Nella relazione della Dia ci sono anche alcuni riferimenti alla mafia agricola. Attiva in modo particolare nei territori dei monti Nebrodi, nei Comuni di Bronte, Maniace, Randazzo e Cesarò. «Ricadono nelle mire di Cosa nostra i patrimoni immobiliari rurali – scrivono i detective – strumenti utili per beneficiare di fondi pubblici ma anche per perpetrare truffe ai danni dello Stato attraverso l’impiego fittizio di braccianti». A febbraio 2017, come anticipato in esclusiva da MeridioNews, è stata portata a termine l’operazione Nebrodi. In manette il presunto reggente di Bronte Salvatore Catania, e quello di Cesarò, Giovanni Pruiti, fratello dell’ergastolano Giuseppe. Nel semestre analizzato emergono anche episodi di intimidazioni ad alcuni amministratori locali, mentre per quanto riguarda la criminalità straniera l’unico riferimento è un’operazione che ha portato in manette alcuni cittadini cinesi specializzati nei money trasfer.
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