La magia dell’attimo fuggente

“Ogni volta che apro l’apparecchio fotografico provo la gioia di afferrare l’attimo fuggente e nello stesso tempo la tristezza che di questa cattura non mi resterà in mano che un pezzo di carta colorata”. Così Ryszard Kapuscinski scriveva sui suoi diari. Laureato in storia dell’arte e corrispondente estero per la prima volta andò in Africa nel 1957, e questo amore è durato lungo tutta la sua vita.   

 

Ciò che esprimono le foto di questo reportage è pura espressività, pura semplicità e puro calore umano di tutti coloro che non possiedono letteralmente nulla. Ma sono felici lo stesso perché la loro è una cultura del minimalismo, si accontentano cioè del minimo indispensabile. I viandanti dell’Africa, con i loro abiti di tela grezza o con le vesti variopinte, con i loro sguardi, con i loro gesti e con i loro sorrisi, di solito si portano dietro solo un piccolo fagotto. Non sentono il bisogno di possedere di più: loro vivono altre realizzazioni. Kapuscinski li ritrae nella loro vita quotidiana e sono sorridenti, nonostante vivano nella miseria più nera.

 

Il titolo della mostra  Solo chi indossa tela grezza è dovuto alla foto di alcune donne in un campo profughi, vestite di sola tela grezza, magre, denutrite. Hanno perso quasi del tutto i connotati femminili.

 

Pare che la foto cui era particolarmente legato il giornalista sia quella di Ismaele. Sembra sulla linea del mare, in realtà è seduto su un cammello. Questo ragazzo pensa al giro del mondo. Ma dove condurrà questa circumnavigazione? Ismaele, pur non sapendolo, continua a navigare.  

 

 

Guardandosi in foto l’uomo vede il proprio viso, il proprio corpo e i propri atteggiamenti in relazione con se stesso o con gli altri: mentre lavora o quando si riposa, mentre cammina o quando sta fermo, quando è da solo o in mezzo alla folla del mercato, mentre combatte, mentre parla o mentre gioca.

 

Immergersi nella vita africana e dimenticare ogni altra realtà è stato il lavoro di questo reporter: vivere tra le persone del luogo, mangiare con loro e fare la fame con loro. Tutto ciò traspare. E di quegli attimi immortalati sulla carta guardandoli ne diventiamo comproprietari. Ma ancor prima di essere un fotografo era uno scrittore-viaggiatore, e a sottolineare ciò, sotto ogni foto esposta, non vi è la data e la didascalia del luogo in cui è stata scattata, ma ci sono stralci tratti dai suoi libri sull’Africa.

 

Ad esempio: “Fotografare non è solo un atto meccanico: è anche un atto magico”.

Raccontare l’altrove attraverso uno scatto fotografico: i luoghi, le tradizioni, ma soprattutto le persone cogliendone l’espressività del volto. Si racconta un sorriso o due occhi colmi di speranza; si descrive un’atmosfera straniera in un connubio di povertà e semplicità, di tristezza e allegria; si svelano i segni più nascosti e si trasforma la macchina fotografica in una complice di un viaggio alla scoperta dell’Africa, anzi vengono descritte piuttosto alcune persone che vi abitano e che rimarranno sempre nei ricordi di chi le ha conosciute.

E ancora: “La fotografia è per sua natura un po’ sentimentale in quanto può fissare solo un breve attimo, per cui guardandola sappiamo che l’attimo rappresentato è trascorso. Stiamo guardando un passato che non esiste più . La fotografia rappresenta un ricordo e niente più”. Il ricordo di un viaggio che però ci aiuta a vivere il presente: un attimo fuggente che domani sarà soltanto un ricordo.

 

 

La mostra era già stata ideata quando il reporter è scomparso. L’associazione Leggerete, la Provincia e l’assessorato alle Politiche culturali di Catania, in collaborazione con l’Istituto polacco di cultura, hanno deciso ugualmente di esporre le foto di Kapuscinski, per rendergli un piccolo, grande omaggio.

 

 

Aveva 74 anni quando è morto: ha raccontato rivoluzioni, guerre e colpi di stato in trent’anni di attività ed è stato definito un “vagabondo della storia”; ha documentato le svolte della nostra epoca dall’Africa all’Oriente. Uomo dalla profonda e commovente etica umana e ontologica è cresciuto nella miseria e si è sempre interessato agli altri. La sua professionalità è stata possibile, sia da un punto di vista tecnico sia morale, perché a dettare le regole è sempre stata la “vocazione”.

 

“Il cinico non è adatto al mestiere di corrispondente di guerra o estero, questa “missione” presuppone una certa comprensione per la miseria umana  – scriveva Kapuscinski – ed esige simpatia per la gente. E’ colpa del cinismo, del nichilismo, della caduta dei valori e del disprezzo per gli altri se il mondo è diventato tanto insopportabile”.

 

 

Orari di visita per la mostra fotografica:  10 00 – 13 00 / 17 00 – 20 00

Stefania Oliveri

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