La mafia nello Statuto siciliano? Un errore clamoroso, sarebbe come istituzionalizzarla

Al Presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, va certamente riconosciuto un merito. Quello di avere mostrato una profonda sensibilità sui temi legati all’Autonomia speciale e all’annosa questione siciliana. A pochi giorni dal suo insediamento, lo ricordiamo, dagli schermi di una televisione nazionale, con determinazione e coraggio, ha sbattuto in faccia all’Italia intera l’articolo 37 dello Statuto siciliano. Secondo cui le imprese che producono nell’Isola, ma con sede sociale fuori dalla Sicilia,  dovrebbero pagare qui le imposte, secondo quanto prevede l’articolo 37 dello Statuto della nostra Regione.

Ovviamente si tratta di una previsione mai applicata e che lo Stato italiano ostacola in ogni modo (in effetti, come vi abbiamo raccontato qui, perderebbe un bel po’ di soldi siciliani da spendere in giro per l’Italia).

Dopo quella occasione, Crocetta è tornato spesso sul tema dello Statuto, e più volte ha dichiarato che si batterà per la sua applicazione. In verità, finora, a parte le dichiarazioni, di concreto si è visto poco. L’unico atto che dà seguito alle sue parole autonomiste (nonostante qualche tentennamento) è la revoca delle autorizzazioni del Muos di Niscemi. Che non è poco, s’intende. Ma siamo solo all’inizio.

E’ anche giusto ricordare che il suo Governo è in vita da pochi mesi. Non è escluso, insomma, che il Presidente, in questi giorni, si stia organizzando, concretamente, per affrontare la questione dell’Autonomia, a livello istituzionale, nella sua interezza. Questa sì che sarebbe una rivoluzione.

Nonostante le sue buone intenzioni, però, non possiamo dirci d’accordo con la sua proposta di inserire nello Statuto siciliano una norma che espressamente ripudi la mafia. Proveremo a spiegare perché, nella speranza di stimolare un dibattitto.  La premessa è una sola: le questioni relative all’Autonomia siciliana, a nostro parere, vanno affrontate in maniera organica e vanno gestite da esperti della materia.  Non servono convegni, né iniziative estemporanee, serve un chiaro e concreto segnale della volontà politica di occuparsi della questione. Una volta per tutte.

Sulla proposta odierna, al di là del valore simbolico, c’è la certezza che  non servirebbe a niente. Peggio. rischierebbe di trasformarsi in un boomerang,  un errore storico che penalizzerebbe ulteriormente i siciliani. 

Inserire  il principio  secondo cui “La Sicilia ripudia la mafia” nella Carta Costituzionale siciliana, infatti, sarebbe come dire che i siciliani finora sono stati mafiosi, e che ora si redimono, tanto da scriverlo sul più più sacro dei loro documenti.  Sarebbe come dire che i Padri Nobili dell’Autonomia hanno commesso un errore nel non inserire una tale enunciazione nello Statuto. Considerata la lora levatura morale e intellettuale, sarebbe, forse, un po’ offensivo nei loro confronti.

Ma c’è un altro elemento che, a nostro avviso, merita una maggiore riflessione da parte del Presidente della Regione. 

Oltre a  marchiare costituzionalmente la Sicilia come “L’isola della mafia”, una norma del genere potrebbe convalidare una delle bugie storiche più devastanti dei nostri tempi: ovvero che la mafia è, ed è stata, una cosa solo siciliana. 

Sappiamo dagli storici più seri che questo fenomeno esplode e si struttura con l’Unità d’Italia, sebbene, certo, le radici siano più lontane.  E che la prima vittima di questa organizzazione è stata la Sicilia (con il suo sottosviluppo) e i siciliani con le loro condizioni di vita e i loro morti nella guerra contro la mafia. 

Sappiamo anche che il ruolo dello Stato italiano (e questo è ormai provato) in questa brutta storia è stato di primo piano. Ce lo ricorda ogni giorno la cronaca giudiziaria, con le inchieste, ad esempio, sulle trattative Stato-mafia.  A questo punto sorge spontanea una domanda: ma non è che dovrebbe essere l’Italia a ripudiare la mafia?  

Insomma, la proposta appare un po’ improvvisata, nonostante le buone intenzioni di Crocetta.  Una proposta che, tra l’altro, non avrebbe alcun risvolto concreto.  Cosa cambierebbe dopo che questa norma è stata inserita nello Statuto? In Sicilia sparirebbe la mafia? Pure se fosse così, per assurdo, basterebbe varcare lo Stretto e risalire per lo Stivale per ritrovarla in perfetta forma.

Non è da sottovalutare, poi, l’elevazione a soggetto giuridico e politico che la mafia deriverebbe dalla sua istituzionalizzazione. Il suo nome, inciso per sempre, nella Carta costituzionale siciliana.

Nessun dubbio sulle buone intenzioni del Presidente Crocetta, lo ripetiamo. Ma forse sarebbe necessario riflettere un po’ più a lungo prima di proporre modifiche dello Statuto. 

La pulizia contro la mafia può essere fatta, del resto, a livello istituzionale, in altro modo: a partire per esempio dall’attuazione dell’art. 31 dello Statuto:

“Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della Polizia di Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale…”.

Ma, forse, sarebbe ancora meglio cominciare a trattare le questioni legate all’Autonomia in maniera più organica e più strutturata. Cominciando dalle urgenze: la prima è l’istituzionalizzazione della volontà politica che ufficialmente sposa la causa a sostegno della sua applicazione. Poi magari, il secondo passo – chiederemo conferma agli esperti – potrebbe essere quello di concentrarsi  sulle previsioni finanziarie e tributarie (gli articoli 36-37-38 dello dello Statuto) che, in un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, potrebbero contribuire alla rinascita economica della nostra terra.

Su questi temi, come già accennato, cercheremo di stimolare un dibattito. Nella speranza che il Presidente Crocetta, continui a mostrare sensibilità e a mantenere spirito critico. Anche nei confronti delle sue idee (nessuno si aspetta da lui l’onniscenza). Fermo restando che le sue buone intenzioni, anche con questa proposta un po’ ‘infelice’,  non sono sfuggite alla nostra redazione.

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Antonella Sferrazza

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