La mafia e lo sbarco in Sicilia nel 1943: Renda e Lupo sulla base di quali documenti parlano?

GLI STORICI DOVREBBERO FAR PARLARE I DOCUMENTI. ALTRIMENTI IL METODO CHE SEGUONO PER RACCONTARE LA STORIA NON E’ SCIENTIFICO. I DUE STORICI SICILIANI, NEL NEGARE IL RUOLO DEI MAFIOSI IN UN MOMENTO CRUCIALE DELLA STORIA DELLA NOSTRA ISOLA, NON SONO SCIENTIFICI

A proposito dell’articolo pubblicato il giorno 27 agosto appena scorso, dal titolo “La mafia partecipò allo sbarco in Sicilia nel 1943? Francesco Renda e Salvatore Lupo dicono di no”, ancorché corredato da una osservazione di chi scrive, merita una riflessione più ampia che di seguito proveremo a fare.

Intanto nell’articolo citato si dice che due importanti storici siciliani, i professori Francesco Renda e Salvatore Lupo, affermano che nella primavera del 1943 lo sbarco delle truppe alleate avvenne senza alcuna facilitazione della mafia siculo-americana. E’ un ritornello che insistentemente ritorna, ma contrasta con la verità vissuta da chi all’epoca c’era ed è ancora presente. Cioè la verità vista e vissuta da testimoni oculari.

Ebbene, cerchiamo di mettere a punto alcune questioni di fondo. In primo luogo, la storia è una disciplina empirica e come tale imperfetta. Questa imperfezione è data dal fatto che è in continuo divenire e soggetta a periodiche revisione da parte dei suoi praticanti. Ciò per la ragione che ogni tanto sui più svariati avvenimenti che hanno suggerito nel tempo una ‘verità’, alla luce di nuove scoperte documentali, quelle verità accettate per anni, vengono reinterpretate e revisionate.

La ragione di questo processo incerto è da ricondurre alle fonti cui gli storici fanno riferimento per descrivere il processo degli avvenimenti. Cioè le fonti documentali.

Ebbene, questo procedimento non è valido allorquando si devono trattare questioni che hanno a che fare con la mafia.

La ragione di questa affermazione risiede nell’esperienza che ci informa che la mafia, dei suoi atti e delle sue decisioni, nonché dei suoi contatti e delle sue trattative non lascia in giro documentazione scritta e protocollata. Non esistono accordi scritti e sotto firmati, né veline da fare circolare discretamente, magari anonime. Niente di tutto questo, purtroppo, per gli storici di professione.

Ne consegue che costoro – cioè gli storici – non dispongono del materiale documentale che regola la loro attività di ricerca.

Da qui consegue la logica conclusione che gli storici, in materia di fatti e di eventi nei quali la mafia, piaccia o no, ha avuto un ruolo spesso decisivo e determinante, non sono in grado di esprimere alcuna certezza. Quindi, in assenza di prove documentali, farebbero bene ad esimersi da affermazioni che non possono, per l’appunto, documentare, né in un senso e né nel senso opposto.

Chi scrive, che all’epoca dei fatti oggetto della disputa c’era e ancorché adolescente ha avuto modo di vivere e vedere alcune circostanze di quel periodo, è in grado di ricordare gli eventi di cronaca del tempo che, messi in fila, conducono inevitabilmente ad affermare che lo sbarco alleato in Sicilia fu favorito da qualcuno che nel territorio siciliano fungeva da talpa.

Si chiamasse, questo qualcuno, “maffia”, a quei tempi con due ‘effe’, si chiamasse “onorata società”, si chiamasse come vi pare, va comunque detto che era un’entità che faceva capo alla grande borghesia agraria, ai suoi ‘campieri’ ed ai colletti bianchi che questi ambienti fiancheggiavano e, in qualche modo, orientavano, mettendosi formalmente e non solo al loro servizio.

Chi scrive, seppure all’epoca ancora bambino, attaccato alla mano della mamma, ha assistito al comizio di Andrea Finocchiaro Aprile in piazza Politeama, a Palermo. Di quel comizio non c’è traccia documenmtale e quindi gli storici lo ignorano.

Gli storici ricordano cos’era l’Usis di via Libertà, sempre a Palermo? Forse non sanno nemmeno che è esistita. L’Usis era la facciata ‘culturale’, la copertura dell’Oss, l’Organizzazione dei servizi di sicurezza, cioè l’antesignano della odierna Central Intelligence Agency. Chi scrive l’ha frequentata e, benché non ne afferrasse il senso, ne percepiva la ‘stranezza’. Delle frequentazioni di quegli ambienti non esiste traccia di documentazione scritta e timbrata e, pertanto, gli storici la ignorano.

In conclusione, vogliamo rivolgere un consiglio agli storici di professione: parlino e scrivano di ciò che conoscono e di cui hanno contezza documentale. Ma evitino di tranciare giudizi su cose che non conoscono e delle quali non hanno contezza documentale.

Gli storici – quelli seri – possono certo essere chiamati ad esprimere pareri. Ma i loro pareri tali restano: e un parere non può essere spacciato per verità storica.

Riccardo Gueci

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