La libertà è un dovere prima che un diritto

Su ogni esperienza personale lascio brandelli d’anima e partecipo a ciò che vedo o sento come se riguardasse me personalmente e dovessi prendere una posizione. Infatti ne prendo sempre una basata su una precisa scelta morale“. Queste erano le parole di Oriana Fallaci nel descrivere il suo modo di lavorare, ma prima di tutto nell’osservare e giudicare la realtà di oggi. Il suo essere fermamente critica, diretta e spesso severa con le sue affermazioni provocatorie e decisa nelle sue scelte etiche, ideologiche e morali, ha sempre caratterizzato la sua attività da giornalista ed in generale la sua stessa vita.

 

Nata il 26 giugno del 1929 a Firenze, dove sin da bambina, ai tempi del Fascismo, iniziò a seguire le orme del padre, un antifascista impegnato attivamente nella lotta alla Resistenza. Già allora la Fallaci divenne membro del corpo di volontari del movimento clandestino per la libertà contro il regime e a soli quattordici anni ricevette il riconoscimento d’onore da parte dell’ Esercito Italiano per il suo impegno durante la guerra. Queste esperienze nell’età dell’adolescenza hanno senza dubbio influenzato e plasmato il suo carattere forte e impulsivo, che l’ha sempre contraddistinta negli anni della sua carriera.

 

Tra i suoi libri, tradotti in più di trenta paesi, ricordiamo il celebre “Intervista con la storia”, una raccolta delle interviste fatte a personalità illustri del calibro di Henry Kissinger, Willy Brandt, Arafat, Indira Gandhi, Giulio Andreotti; l’autobiografica “Lettera a un bambino mai nato” del 1975, ed il romanzo “Insciallah” sulla storia delle truppe italiane in Libano nel 1983.

 

Con “La rabbia e l’orgoglio”, uno dei due ultimi libri (l’ultimo è “La forza della ragione”, ndr), ha deciso di interrompere quel suo volontario silenzio e distacco dai “riflettori” per circa un decennio. Proprio perché la rabbia per ciò che era accaduto era talmente grande e insopportabile da non poter tenere tutto dentro: risale esattamente a cinque anni fa, in seguito all’attacco terroristico dell’11 settembre alle Twin Towers. Una donna dalle due patrie rigorosamente occidentali, ormai un’italo-americana che si divideva tra il Bel Paese e gli Stati Uniti (in cui è stata insignita di riconoscimenti come la Laurea ad Honorem al Columbia College di Chicago), ultimamente sempre in difesa di questa parte del mondo. Lei, che amava tanto New York e che disprezzava e giudicava con foga i suicidi-assassini kamikaze e tutti coloro che esultavano per questa tragedia anti-americana, non è riuscita a tacere.

 

Così affermava nella lettera inviata a Ferruccio De Bortoli, già direttore de “Il Corriere della Sera”, con parole che rispecchiano un odio alquanto feroce verso alcuni nostri illustri concittadini in particolare, definiti “cicale di lusso”: “Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l’altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. “Vittoria! Vittoria!” Uomini, donne, bambini. Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: “Gli sta bene, agli americani gli sta bene”. E sono molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d’una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso“.

 

Una giornalista apprezzata da alcuni e spesso mal vista da altri, ma in ogni caso sempre al centro dell’attenzione dei media, che ha rischiato di riportare fatti di portata internazionale in maniera molto soggettiva, ricalcando il suo esclusivo e “obiettabile” punto di vista. Ha dimostrato in fondo di essere “una scrittrice, più che una giornalista”, come del resto preferiva autodefinirsi. Una donna che comunque, volendo o nolendo, ha vigorosamente dimostrato con parole ben marcate la sua forza morale, andando spesso contro corrente per difendere i suoi ideali di libertà.

 

Valeria Arlotta

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