La lezione del Prof

L’aula A1 del monastero dei Benedettini è piena. Tutti vogliono ancora sentir parlare di questo professore, giornalista, innovatore, sportivo, appassionato di cucina. Il professor Enrico Escher viene ricordato da una lunga serie di interventi. Tutti insieme, i ricordi di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, di chi l’ha incrociato una sola volta, di chi porta fiero il libretto universitario con la sua firma, di chi ha fatto parte con lui di quella redazione di Step1 che seguì per tutta la notte le elezioni politiche del 2006 e anche chi ha passato insieme anni indimenticabili, o addirittura una vita intera.

Prendete una caramella…

Gli studenti che hanno seguito le sue lezioni e sostenuto i suoi esami non hanno avuto bisogno di alcuna spiegazione per il gesto di Flaminia, moglie di Enrico. Tre pacchi di caramelle rovesciati su quel tavolo, esattamente come faceva il prof, il giorno dell’esame, per smorzare la tensione degli studenti.

Il primo intervento è quello del fratello Massimo, che ricorda come Enrico avesse già lanciato uno messaggio nel quale credeva moltissimo, “In una lettera che aveva scritto per consolare la moglie e i figli per la perdita della cagnetta, Enrico metteva in bocca alla bestiola la sua visione della morte della vita e del dolore, in quel caso era proprio lui che parlava, proprio un 12 luglio, esattamente quattro anni prima di andarsene per sempre”.

L’ironia al potere e l’ottimismo

Il professor Escher e Enrico il padre di famiglia. Il primo ricordo è affidato alle parole del prof. Granozzi che sostiene che in cattedra egli sia stato “l’ironia al potere, o meglio l’autoironia e la curiosità “. Il dottor Branciforti racconta invece un aneddoto: “Ho incontrato Enrico nel 1997, per un trauma al polso. Già era malato e mi era sembrato incredibile che quest’uomo si fosse rotto il polso perchè doveva insegnare ai figli a pattinare, nonostante la malattia. In un racconto che ho scritto, dedicato a Enrico e intitolato “L’ottimista”, immagino un uomo malato che, con le metastasi al fegato, abbandona tutte le cure e parte con i suoi pattini verso una dimensione tutta sua”.


Grazie Enrico

Con un intervento disarmante per ironia e lucidità, il figlio Marco afferma fiero: “Se sono quello che sono, e si spera la parte migliore di me, lo devo per la maggior parte a Enrico. A prescindere dal fatto che lui fosse mio padre e io suo figlio”.


Piccolo grande uomo

Era questo il soprannome che gli avevano dato i suoi compagni di squadra. Lo sport di Enrico, uno dei tanti, era la pallavolo. Tanti gli aneddoti che due suoi ex compagni hanno raccontato c’è questo: “giocavamo a Bronte, e anche quando lì c’era la neve e io gli proponevo di restare a casa lui si impuntava, doveva per forza andare agli allenamenti”. E ancora “quando, in inverno, capitava che mancasse l’acqua calda Enrico era il solo che facesse la doccia con l’acqua congelata, e a noi toccava sempre aspettarlo in macchina”. Infine “sono ultra orgoglioso, da pallavolista, che Enrico abbia scelto questo sport”.


Il professore credeva in noi

Uno studente esibisce fiero il suo libretto universitario, con la firma del professore. “È questo il ricordo che mi lega a lui. Il giorno dell’esame, dopo aver preso anche io una caramella, lui mi disse di andare avanti. Era diverso dagli altri professori, credeva che ognuno di noi avesse qualcosa da dare e da dire”


Caro Maestro

Michele Spalletta, suo “allievo non studente”, esprime tutto l’orgoglio di aver avuto come maestro un uomo come Enrico Escher. Tra i ricordi salta fuori nuovamente la nottata in redazione per le elezioni politiche del 2006 “quando lui venne qui alla redazione di Step1 alle due del mattino dopo essere uscito dalla redazione di Antenna Sicilia, e rimase con noi fino alle quattro”.

“Il professore aveva la capacità di trasmetterci la voglia di fare le cose, prima di conoscerlo non avevo mai pensato a scrivere e alla professione di giornalista.”

Viene da dire che se è vero, com’è vero, che la sua più grande dote era quella di riuscire a trasmettere le sue passioni, i suoi sogni e progetti non c’è da meravigliarsi se tutti all’interno dell’aula A1 erano davvero convinti di quello che, fin quando in vita, fu uno dei punti fermi della vita di Enrico; “si muore veramente solo quando non si lascia niente, nessun ricordo”.

E in questo caso, continua Michele, “il professore non è mai morto”.


NB. Chi volesse la registrazione integrale della commemorazione di Enrico Escher può richiederla mandando una mail a redazione@step1.it

francescocurro

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